FOGLIO LAPIS - OTTOBRE- 2023

 

L'”ultimo maestro”, ben noto ai lettori del Foglio Lapis, si è fatto promotore di un'interessante iniziativa. Spiega agli alunni di oggi la scuola del tempo che fu, quella dei calamai e delle punizioni

 

Tutto è cominciato all’inizio della scuola, a settembre. Un’amica maestra che insegna presso la scuola elementare “A.Saffi” di Cesena mi ha chiesto se potevo fare un incontro con le sue due terze per parlare della scuola di una volta, del tempo dei nonni. Avevo infatti un duplice requisito: età dei nonni dei bambini e maestro (ora in pensione) che ha dimestichezza coi piccoli.

Lì per lì sono rimasto un po’ perplesso perché non avevo materiale necessario: non potevo presentarmi a mani vuote avvalendomi della sola parola.

Mi è venuto in mente un amico, ex professore, che da una vita reperisce oggetti del passato, soprattutto del mondo contadino ormai estinto. E infatti l’amico, appena ha saputo il mio obiettivo a favore dei bimbi di scuola elementare, è stato subito disponibile e, rovistando nel suo “museo” ha trovato quanto poteva servirmi da mostrare ai piccoli scolari: una vecchia cartella anni ‘50, una scarpa di duro cuoio col fondo di legno e le brocche (bullette antiscivolo e anti… usura!), abbecedari d’epoca, quaderni (piccoli, come si usava in passato: il quadernone è arrivato negli anni ‘80) scritti in bella grafia, rigorosamente con pennino e inchiostro.

L’amico mi ha pure rifornito di un repertorio di pennini che si usavano fino agli anni ‘50 e i primi ‘60, dalle più varie forme, dai più semplici ai più sofisticati che ricordano una torre gotica. E cannucce, su cui andavano innestati, assieme a un calamaio che stava nel vecchio banco di legno a due posti, nell’apposito foro. Ogni mattina il bidello passava a mettere inchiostro. Lì si intingeva il pennino e si scriveva sulla bianca pagina usando a mano a mano la carta assorbente per asciugare e non fare sbavature. Spesso il pennino, troppo carico di inchiostro, faceva cadere una goccia sul foglio provocando una macchia che non si poteva cancellare! La maestra, pronta, assestava uno schiaffo allo/a sventurato/a! Quante lacrime!

Con tutto questo armamentario mi sono presentato all’appuntamento con la prima scuola, la “A.Saffi” di Cesena. Ho terminato il mio incontro con la prova tanto attesa della scrittura: alunno per alunno veniva da me seguito per scrivere (con quanta emozione!) il proprio nome col pennino. Pennino che non funziona come la penna biro: bisogna tenere la cannuccia inclinata in un certo modo, premere in maniera diversa. Si accorgono che anche per scrivere ci vuole calma e pazienza. Però il risultato poi appaga e vorrebbero continuare.

Perché non torni anche domani?” chiedono in diversi.
La maestra interviene spiegando: “Il maestro tornerà più avanti… Deve andare anche in altre scuole”.

Il pezzo forte dei miei interventi è il racconto delle punizioni di una volta, quando si usavano le maniere forti: dallo scappellotto allo schiaffo, dalla tirata di orecchi ai colpi assestati con una bacchetta sulle mani. Fino alla punizione delle punizioni: in ginocchio sui ceci o sui grani di mais. A tal proposito mostro, con l’ausilio della LIM, una foto in cui si vede una bambina sulle cui ginocchia, appena sollevate dai ceci, si notano gli incavi sulla carne a cui aderisce ancora qualche cece.

Bambini dell’era digitale, abituati agli effetti speciali, provano un brivido alla vista di questo orrido spettacolo. A casa racconteranno quanto hanno visto e fatto con me, ma sarà soprattutto la punizione dei ceci al centro del loro interesse.

Un altro pezzo forte su cui faccio leva per coinvolgere i piccoli è un cappellino che certi chiamano il cappello della vergogna: le orecchie d’asino! Una volta erano un simbolo di vergogna, ora invece tutti le vogliono mettere sulla testa e provare il piacere di essere mandati dietro la… lavagna. Lavagna che però non c’è più o quantomeno non sta più sui trespoli ma appesa al muro, in castigo pure lei. E così si pongono davanti a quella, rivolti alla classe, sorridenti. “Non così” dico “bisogna stare con le spalle alla classe, rivolti al muro. Faccia al muro. E non ridendo ma vergognosi e con la testa bassa”.

Vedendo che i bambini erano entusiasti del mio intervento, ho pensato di estendere il Progetto ad altre scuole della Romagna che lo desiderassero. Gratuitamente, s’intende. E così è stato: dopo Cesena, S.Martino in Strada, Predappio, Fiumana, S.Sofia, Galeata, Civitella, Cusercoli, S.Piero in Bagno, Forlimpopoli, Forlì...

Le richieste sono state finora numerose e a tutte ho aderito con entusiasmo. Perchè per diventare maestro si impiega una vita – questo è il mio motto - ma poi tale si rimane anche dopo il pensionamento.

Tornare a scuola, in classe, mi dà gioia, gratificato dalla festosa accoglienza dei piccoli alunni. Esco dall’aula con la soddisfazione di aver dato testimonianza di un passato ormai così lontano dalle nuove generazioni.

Termino con due simpatici commenti di due miei ex scolari di diversi anni fa: Samuele e Saide. Alla vista di una foto scattata nella classe 3a di Predappio, scrive Samuele: “Ciao Maestro, guardando questa foto di te in classe, di fianco alla LIM, mi è venuta un po’ di nostalgia, bei ricordi… la nostra lavagna era vecchio stile, però: più retrò”. Al che ho così risposto: “Bei ricordi, Samuele. La nostra lavagna era retrò, ma sopra ci lavoravo con creatività che penso abbiate apprezzato…”. Invece Saide: “Maestro, vedendola davanti alla lavagna, mi sono immaginata lì nel banco e sono tornata indietro nel tempo, per fortuna senza la lavagna LIM!”.

Chiaro il senso: sarà anche utile la LIM, ma la vecchia lavagna di ardesia racchiude la poesia del tempo, il fascino della manualità e della creatività.

                                                                Maurizio Boscherini  

 

 


                                                  

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