FOGLIO LAPIS - OTTOBRE - 2015

 
 

Si tratta di uno dei punti più controversi della “buona scuola” - La regolarizzazione di circa novantamila insegnanti, finora titolari di contratti a tempo determinato – Ma tutti gli altri alla scadenza di trentasei mesi non potranno più rinnovare il rapporto – Tutto questo non corregge affatto uno dei difetti della scuola italiana, le carenze degli organici – Una volta ancora si conferma che l'istruzione ha bisogno di maggiore attenzione e più investimenti

 

Uno dei tormentoni che hanno accompagnato il percorso della legge 107/15 è stato l’immissione in ruolo di 150.000 docenti, in realtà poco più di 148.000, poi divenuti 138.000, poi 102.701, oggi ancora a quota 90.000 circa.

Pur plaudendo l’operazione, occorre precisare che non si tratta di nuovi posti ma della stabilizzazione di personale che da anni lavora nella scuola, che il piano straordinario di immissioni in ruolo è anche conseguenza del pronunciamento della Corte di Giustizia Europea, avvenuto a novembre scorso, in cui si ribadiva che non era possibile reiterare contratti a tempo determinato oltre i 36 mesi ma che questi andavano trasformati in contratti a tempo indeterminato. I ricorsi degli insegnanti per vedersi riconosciuto questo diritto si sono decuplicati, tant’è che nella L. 107/15 è stato “… istituito un fondo per i pagamenti in esecuzione di provvedimenti giurisdizionali aventi ad oggetto il risarcimento dei danni conseguenti alla reiterazione di contratti a termine per una durata complessiva superiore a trentasei mesi,…”.

Paradossale è invece la soluzione che la legge ha dato al problema della stabilizzazione: “A decorrere dal 1º settembre 2016, i contratti di lavoro a tempo determinato stipulati con il personale docente, educativo, amministrativo, tecnico e ausiliario presso le istituzioni scolastiche ed educative statali, per la copertura di posti vacanti e disponibili, non possono superare la durata complessiva di trentasei mesi, anche non continuativi.” In questo modo chi non riuscirà ad essere immesso in ruolo nell’arco del triennio, non avrà altra scelta che cambiare lavoro perché non gli sarà data più l’opportunità di avere incarichi a tempo determinato nella scuola.

I numeri dell’ organico non sono cambiati, rispetto a quello determinatosi in seguito ai tagli di circa 143.000 posti fatti dalla c.d. “riforma” Gelmini, e con esso le criticità della scuola.

Sempre più spesso, quando è assente un insegnante, assistiamo:

·       alla distribuzione degli alunni in altre classi; 

            all’utilizzo di insegnanti di sostegno, nelle secondarie di secondo grado questo fenomeno è esteso anche agli Insegnanti Tecnico Pratici che sono in compresenza nei laboratori con i docenti teorici;

·       all’utilizzo dei collaboratori scolastici a fare vigilanza per intere ore.

È superfluo dire le responsabilità a cui vanno incontro gli insegnanti, i collaboratori scolastici e lo stesso Dirigente scolastico e/o quantificare il danno arrecato alla didattica.

Da molti anni la carenza di organico nella scuola è cronica e in questa legge anche se non compare la parola taglio, di fatto questo avviene, quando nelle Regioni con un incremento considerevole di nuove iscrizioni di alunni, in qualche caso oltre 3000, senza che questo dia luogo ad un incremento proporzionale di organico, l’effetto prodotto è identico ad un taglio di posti di pari numero.

In una situazione analoga, se non peggiore, è il personale ATA. La legge di stabilità 2015 ha tradotto il concetto di modernizzazione e digitalizzazione contenuto nel documento “La Buona Scuola”, da cui ne derivava un minore bisogno di assistenti amministrativi, in un taglio di 2020 posti di personale ATA e alla non attribuzione di supplenze brevi agli assistenti amministrativi nelle scuole con più di 3 unità in organico di diritto e ai collaboratori scolastici per i primi 7 giorni di assenza.

Non è difficile immaginare la difficoltà in cui si troveranno le scuole, in particolare quelle istituzioni scolastiche con tanti plessi in cui già da tempo al mattino è l’insegnante ad aprire la scuola e l’unico collaboratore scolastico la chiude.

Un accenno va fatto anche ai CPIA (Istruzione degli Adulti), istituiti con DPR 263/12 e che dal 1 settembre 2015 hanno trasformato i precedenti CTP, dipendenti da Direzioni Didattiche o scuola secondarie di I grado, in istituzioni scolastiche autonome. Questo passaggio ha comportato problemi nell’assegnazione dei locali da parte dell’Ente locale alle nuove istituzioni scolastiche; difficoltà nel passaggio dei beni e attrezzature dai vecchi CTP ai nuovi CPIA e, naturalmente, complicazioni per l’adeguamento dell’organico a fronte della complessità di queste istituzioni. Questa è solo una parte della realtà che le scuole sono chiamate ad affrontare ogni giorno.

È innegabile che questa legge rappresenta una inversione di tendenza con quanto fatto finora dai precedenti governi ma è altrettanto indispensabile prevedere delle soluzioni alla precarietà del personale e mettere le basi per il rinnovo del contratto, un passaggio importante in quanto dovrà recepire le norme che in questi anni sono state emanate e senz’altro diventerà la linea di demarcazione tra il vecchio e il nuovo modo di intendere la scuola.

Su una cosa penso si possa essere d'accordo ed è che la scuola italiana necessita di maggior attenzione che va tradotta in maggiori investimenti.
                                                  Alessandro Di Giorgio 
                                         

    


                                                  

 
 

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