FOGLIO LAPIS - FEBBRAIO- 2020

 

La crescente propensione all'espatrio dei nostri giovani è parte del grande flusso migratorio ben noto alle cronache contemporanee – Lo determinano gli squilibri demografici, economici, sociali e professionali che caratterizzano la nostra epoca e la relativa facilità degli spostamenti nel mondo globalizzato – Siamo di fronte a una sorta di diaspora intellettuale

 

Da una parte un mondo in cui si registrano profondi squilibri che riguardano la demografia e l'assetto sociale, l'economia e le competenze professionali, dall'altra una facilità di spostamento sconosciuta ad altre epoche storiche. Basta applicare a questo schema il principio fisico dei vasi comunicanti per comprendere la ragion d'essere del fenomeno migratorio. Masse crescenti di persone tendono a trasferirsi dai paesi sovrappopolati a quelli con crescenti carenze di popolazione, dalle economie povere a quelle ricche, dalle società disuguali e prive di assistenza a quelle tonificate dal welfare, dai paesi in guerra a quelli in pace, dalle situazioni in cui abbondano le competenze ma non la possibilità di applicarle professionalmente a quelle in cui questo rapporto è meno rigido, o addirittura rovesciato. Quest'ultimo aspetto del fenomeno è ciò che i mezzi di comunicazione di massa chiamano fuga dei cervelli, o secondo l'anglomania imperante brain drain.

Di fronte a questa situazione, che caratterizza così significativamente la nostra epoca, l'Italia si trova in una condizione ambigua. Il nostro è infatti un paese dall'economia sviluppata (anche se ormai da anni in profonda crisi congiunturale) e assistito bene o male dallo stato sociale, che attraversa da tempo una fase di declino demografico e dunque attira inevitabilmente un intenso flusso migratorio. Proviene soprattutto dalle aree relativamente vicine dell'Africa e del Medio Oriente, dove imperversano crisi economiche e sociali, non di rado guerre o disordini terroristici, dove il deterioramento climatico fa avanzare i deserti a scapito dei terreni coltivabili, e dove la popolazione è stabilmente in forte crescita.

C'è inoltre da considerare la nostra collocazione geografica, che ci caratterizza come punto d'approdo per chi da quelle aree disagiate è diretto in Europa: di qui una forte componente di migrazioni in transito dai nostri porti. E poiché i paesi di destinazione in questi tempi difficili non hanno certo la tendenza a spalancare le porte, il transito tende a cristallizzarsi in permanenze potenzialmente definitive e psicologicamente instabili, che provocano reazioni di rigetto nell'opinione pubblica sapientemente utilizzate da alcune parti politiche.

Al tempo stesso l'Italia è afflitta da difficoltà congiunturali, e ormai apparentemente divenute strutturali, che le impediscono di assorbire proprio quella forza lavoro di alto livello che viene generata dal suo sistema formativo. E così migliaia di giovani si allontanano verso altri lidi in cerca di occupazioni lavorative corrispondenti alle loro competenze, inutilizzabili o quasi in patria. Il fenomeno ha dunque due facce: in un certo senso importiamo braccia ed esportiamo cervelli. Se l'importazione di braccia checché se ne dica è necessaria, perché colma il vuoto aperto dal calo demografico, è anche vero che l'esportazione di cervelli ci penalizza fortemente dal punto di vista umano e professionale. Le cifre del fenomeno sono sconcertanti.

Prendiamo ad esempio il 2017, quando oltre la metà dei 115 mila italiani emigrati aveva un titolo di studio superiore all'obbligo scolastico. Infatti secondo i dati forniti dall'Istat ne facevano parte 33 mila diplomati e 28 mila laureati. Secondo le cifre dell'Istituto nazionale di statistica nei cinque anni compresi fra il 2013 e il 2017 il numero di italiani che dopo il raggiungimento del titolo universitario si è trasferito all'estero in cerca di lavoro è aumentato di oltre il quaranta per cento. Il problema consiste evidentemente nel fatto che l'Italia non può permettersi di perdere trentamila laureati l'anno.

É vero che si registrano anche rimpatri, ma l'incidenza di questi è rimasta pressoché invariata negli anni. Altrettanto stabile l'incidenza di quella quota di immigrazione che ci permette di importare competenze professionali di alto livello. Questo significa che c'è un saldo sempre più nettamente negativo, a maggior ragione se consideriamo il fatto che la tendenza è in costante aumento: sempre più giovani alimentano questa diaspora intellettuale. Si dirigono verso la Germania, la Francia, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, il Canada. É come un'emorragia, il paese perde infatti la sua risorsa più preziosa, e non soltanto quella. Come possiamo vedere in altra parte di questo periodico, il sistema Italia paga a carissimo prezzo, anche dal punto di vista finanziario, l'esilio volontario di tanti giovani.

 

                                                                      a. v.           

 

 

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