FOGLIO LAPIS - APRILE 2004

 
 

La cosiddetta civiltà dell'immagine pareva avere confinato la parola scritta in un universo marginale - Per esempio in Italia le statistiche sulla scarsa propensione alla lettura si accompagnavano alla denuncia di capacità di scrittura sempre più ridotte - L'avvento delle nuove tecnologie, con il loro facile radicamento fra i più giovani, ha invertito la tendenza - Oggi si scrive di nuovo, nelle forme contratte e gergali del "messaggino" ma anche nei modi potenzialmente illimitati del "blog"

 

La preposizione per, o anche la sillaba  corrispondente, ovunque si trovi, non è che una x intesa come segno di moltiplicazione, e una semplice k evita la doppia battuta ch: in modo tale che una parola come perché si riduce a un sincopato xke. Si risparmia spazio e tempo nello scrivere gli sms, i messaggini ormai dilaganti sui minuscoli schermi dei telefoni cellulari. La tendenza alla contrazione delle parole, alla loro sostituzione con ingegnose omofonie, è del resto universale: in inglese per esempio, una lingua che già di per sè non si perde certo in lungaggini, per scrivere for you si ricorre a una sorta di rebus, 4u, e per salutare (see you) è sufficiente digitare cu. Si fa prima, e non ci sono difficoltà di comprensione.

Per alcuni questo è un fenomeno irritante, che mortifica la scrittura e le sue regole. Ma non è così, a ben vedere. Al contrario, la contrazione delle parole non è che l'altra faccia di  quello che bisogna considerare un rilancio della scrittura, una sorta di pedaggio che la lingua scritta è chiamata a pagare per essere veicolata sui nuovi mezzi universali di comunicazione verbale. Erano alcuni decenni che si lamentava la progressiva eclissi dello scrivere, e parallelamente del leggere. La televisione stava sostituendo libri e giornali, a malapena temperando la tendenza con le sue rassegne stampa o con i programmi dedicati all'editoria. Il telefono aveva inferto un colpo mortale all'antica consuetudine di scambiarsi lettere e cartoline. I sondaggi rivelavano che in Italia, ma non soltanto lì, i giovani voltavano le spalle alla parola scritta: scarsa propensione alla lettura, specchio a sua volta di una declinante capacità di impadronirsi del testo scritto, di interpretarlo e di capirlo. Di qui il ripiego su una oralità approssimativa, elementare, di scarso impatto e di ancor minore impegno.

É stato a questo punto che hanno fatto irruzione il computer e il telefono cellulare. L'uno e l'altro dotati di tastiera, cioè di uno strumento che permette non soltanto la scelta di funzioni e comandi, ma anche la composizione di parole, frasi, concetti. A cinquemila anni dall'invenzione della scrittura, eccone dunque la riscoperta adattata ai tempi nuovi e ai nuovi mezzi. I ragazzi che non avrebbero mai affrontato il foglio bianco della lettera, si trovano perfettamente a loro agio con i tasti microscopici del cellulare: e così una buona parte della comunicazione che avevano fin qui affidato alle loro interminabili telefonate ha imboccato questa nuova strada. Prima parole che appena dette volavano, ora testi che rimangono, magari per poco, e che dunque permettono la rilettura, la verifica, la risposta meditata. Il messaggino è diventato nel mondo giovanile e adolescenziale il veicolo comunicativo per eccellenza. Linguaggio contratto? Ma se Parigi è valsa una messa, il ritorno alla scrittura vale certamente qualche libertà espressiva. Sarebbe certo prematuro e un po' troppo ottimistico parlare di un nuovo umanesimo alle porte, ma accontentiamoci, con i tempi che corrono la riscoperta dell'alfabeto è già un evento da festeggiare. Haec nobis fausta dies, albo signanda lapillo...

Parallelamente, il computer ha aperto possibilità di espressione che ancora non sono state fino in fondo esplorate. Se il messaggino ha riproposto la comunicazione scritta a distanza fra persone che altrimenti ne farebbero a meno, la posta elettronica copre invece tutte le potenzialità comunicative. Sia dei refrattari cronici allo schema lettera-busta-francobollo-imbucare, sia di coloro che ancora non avevano perduto l'abitudine di scriversi. Offrendo ai primi una sorta di cellulare di estrema potenza, a  tutti i vantaggi della certezza, della chiarezza, della velocità. Una recente decisione amministrativa ha equiparato, in Italia, la posta elettronica alla lettera raccomandata: anche la burocrazia si è dunque inchinata di fronte alla maestà del progresso.

Leggerete in questo stesso numero un intervento specifico sull'altro grande veicolo comunicativo che ha fatto irruzione attraverso internet: il weblog, o diario di rete. Il blog, come si chiama sbrigativamente. Permette di scrivere indirizzandosi al mondo intero, perfino a chi non conosce la lingua usata, visto che esistono programmi di traduzione online, per quanto di qualità non proprio eccellente, almeno per ora. Permette anche lo scambio, l'interazione immediata. Nel blog si può scegliere ogni tema, ogni stile: si può scrivere a piacimento perché o xke, see you o cu. Si può essere telegrafici o logorroici. Non ci sono vincoli di spazio né di tempo, ci sono soltanto o ci dovrebbero essere le frontiere del buongusto, ma questo è un discorso che porterebbe lontano: in ogni caso è evidente che ogni blogger individua i suoi interlocutori, appunto attraverso la scelta del tema, dell'approccio, del linguaggio. Avrà, in altre parole, gli interlocutori che si merita.

L'affermarsi dei blog testimonia, così come la grande alluvione dei messaggini, un bisogno universale di comunicazione, in un mondo che tende a ridurre l'espressione individuale a vantaggio di comportamenti omologanti, molto spesso legati alle esigenze puramente mercantili del consumo. Ci si può rispondere che in un certo senso anche questa è una moda che omologa: è vero, in un certo senso è così. Ma è anche vero che la potenzialità di questi mezzi ne allarga la funzione in misura assolutamente imprevedibile. Ci si può aspettare di tutto: per esempio che dalle riflessioni affidate a un blog scaturiscano risposte nuove agli interrogativi che angosciano il pianeta, o che dall'universo minimo degli sms sgorghino fresche vene di poesia.

 

                                                                                Alfredo Venturi

 

 

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