FOGLIO LAPIS - SETTEMBRE 2000

 
 

Una prospettiva che fa discutere: di fronte alla carenza di insegnanti bisognerà prima o poi ricorrere al contributo di personale straniero - C'è chi alza la consueta barriera nazional-sindacale, chi al contrario saluta la novità come un segno dei tempi nuovi e ne attende un arricchimento per la scuola italiana

 

A giudicare dagli affollatissimi concorsi e dall'altissimo rapporto docenti-allievi non si direbbe: ma non è molto lontano il giorno in cui l'offerta nazionale di personale insegnante sarà inferiore alla domanda che sale dalla scuola. Come vogliono le leggi del mercato, bisognerà a quel punto allargare l'offerta oltre le frontiere, in altre parole importare insegnanti. Nel momento in cui i crescenti flussi migratori provocano da una parte reazioni di rigetto, proposte discriminatorie, richieste di rigide barriere, dall'altro un'accesa discussione sui tempi, sui modi, sulle tecniche di una integrazione comunque necessaria, la prospettiva ha introdotto un nuovo capitolo di discussione. Insegnanti stranieri? Ma non ci sono da sistemare, prima, moltitudini di precari? Questa una fra le prime reazioni sindacali, del tutto legittima ma non tale da intaccare il merito della questione. Infatti la necessità di reclutare personale docente all'estero si imporrà comunque, prima o poi, indipendentemente dalla sorte dei precari che pure merita una doverosa attenzione. Altra reazione polemica: ma gli insegnanti, non sono oggi in soprannumero? E' vero, lo sono oggi: ma qui si parla di domani, forse di dopodomani. La prospettiva è dunque perfettamente realistica, e non è tempo perduto ragionarci sopra.

Una prima considerazione che si impone è che la futura importazione di docenti si iscrive in una linea già ben nota. Un tempo i lavoratori stranieri erano quasi esclusivamente minatori, agricoltori, operai generici: si esportavano e si importavano braccia piuttosto che cervelli. Oggi non più, un mercato del lavoro senza frontiere ha ormai coinvolto i settori più qualificati: alla carenza di personale nei paesi più sviluppati si affianca infatti lo sviluppo tecnologico-educativo di molti fra i componenti di quello che con espressione assai datata si continua a chiamare Terzo Mondo. Per esempio l'India, paese poverissimo eppure ricco di sapere e tecnologia, dispone di un personale informatico assai qualificato, che da qualche tempo ha cominciato ad affollare uffici e laboratori negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Germania. Non c'è dunque nulla di strano nel fatto che questa tendenza si allarghi ora al personale docente.

Del resto non si vede perché davanti a classi sempre più multietniche non ci dovrebbe essere anche in cattedra un multietnico avvicendamento. Tutte le considerazioni che sono state fatte a proposito dei benefici didattici, oltre che umani e civili, che può comportare la presenza fra i banchi di bambini o ragazzi stranieri, si possono applicare anche a una analoga diversità che si manifesti dalla parte degli insegnanti. Questa diversità che arricchisce non ha niente a che fare, ovviamente, con la natura dei programmi scolastici: si parla infatti di docenti stranieri in scuole italiane. Certo bisognerà vigilare, come nel caso delle presenze straniere fra i banchi, sulle eventuali insofferenze e intolleranze: difficile non ricordare, di fronte alla prospettiva di un corpo docente multinazionale, la pretesa manifestata qualche tempo fa da parte dei dirigenti politici di una parte d'Italia scossa da pulsioni secessioniste, Costoro volevano che si allontanassero i maestri provenienti da altre parti del paese. Una pretesa che estendeva dunque alla categoria degli insegnanti l'antico motto del più vieto provincialismo italico: mogli e buoi dei paesi tuoi…

C'è anche un altro modo, più pessimistico, di leggere la novità dei docenti d'importazione. Si può infatti pensare che questa prospettiva rientri in un'altra tendenza consolidata, in fondo complementare rispetto a quella considerata più sopra, quella degli stranieri che coprono i posti di lavoro lasciati volontariamente vacanti dagli italiani. Questo è un discorso delicato, che investe il tema ben noto di una professione docente che molti respingono perché ormai privata di ogni prestigio sociale e di ogni attrattiva economica. In altri termini: se in un futuro più o meno prossimo dovremo cercare all'estero parte del corpo insegnante, sarà anche perché non saremo riusciti a restituire alla professione pedagogica la sua decaduta nobiltà. Al punto da affiancare questa attività ai molti mestieri rifiutati dagli italiani e quindi occupati dagli immigrati: dalla raccolta dei pomodori ai turni di notte in fonderia. Una politica volta a ridare smalto alla professione docente, del resto in se' necessaria per adeguare la scuola alla sfida del nuovo secolo, potrebbe eliminare questo aspetto della questione, riducendo il futuro ricorso agli insegnanti stranieri a una dimensione fisiologica e dunque meglio capace di superare le molte prevedibili resistenze.

 

f.l.

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