FOGLIO LAPIS - OTTOBRE - 2014

 
 

La terapia attraverso i suoni ha una storia antica, affondando le radici addirittura nell'epoca dei Sumeri – Nell'età romantica il ricorso alla musica si sposta dall'ambito prettamente medico a quello psicoterapeutico, poi si allarga sul versante pedagogico – I due approcci, ricettivo e attivo, con i quali è possibile accostarsi alla musicoterapia – Preziosa in particolare per curare i disturbi che comportano una “chiusura” generale dell'individuo

 

Già presso la civiltà sumera si componevano melodie sacre con lo scopo di guarire i malati e le prime pagine di estetica musicale, scritte dai classici, parlano del potere della musica di ripristinare armonia nel corpo e nella mente. In epoca medievale e fino al 1550 la musica era una delle materie comunemente studiate nell’ambito accademico medico. Durante il Rinascimento viene studiato il rapporto della musica con gli affetti umani ed il suo potere regolarizzante, del sangue e del funzionamento organico in genere. In epoca romantica la musicoterapia scompare dalle discipline prettamente mediche per spostarsi in ambito psicoterapeutico.

Dal XX secolo la musicoterapia viene sfruttata anche in ambito pedagogico, per incoraggiare i bambini nel processo espressivo e/o per favorirne l’apertura e la coesione sociale. Sono stati riscontrati molti risultati positivi nel trattamento dei disturbi dell’apprendimento o di quelli linguistici, per esempio portando bambini che avessero un blocco dell’espressività verbale ad esprimersi e ad instaurare un dialogo sonoro, sciogliendo così il nodo che li costringeva ad un totale rifiuto della “parola”.

Altro aspetto dell’utilizzo della musicoterapia in ambito pedagogico è quello di gruppo. Secondo uno studio condotto da Hans Guenther Bastian con il supporto dell’Università di Francoforte, le classi alle quali erano stati offerti più stimoli ed insegnamenti musicali presentavano minori difficoltà nella concentrazione ed una più salda coesione sociale.

La musicoterapia può essere esercitata principalmente secondo due approcci: quello ricettivo e quello attivo. L’approccio ricettivo, un tempo detto “passivo”, non prevede alcuna partecipazione del cliente all’evento sonoro, che questi si limiterà ad ascoltare. Il termine “passivo” non era tuttavia il più appropriato in quanto un ascolto accurato è tutt’altro che passivo, si tratta infatti di prestare grande concentrazione ai suoni così come ai loro effetti sul proprio corpo e sul proprio sistema nervoso. L’approccio attivo prevede invece la diretta partecipazione del cliente all’evento sonoro. Egli viene infatti coinvolto in un’empatia per rispondere alla quale viene fornito di strumenti della più varia natura.

Diretta conseguenza dell’approccio attivo è il momento improvvisativo. Mentre nella realtà verbale il fatto di parlare contemporaneamente è impensabile, nella musica è perfino auspicabile. Il soggetto non si trova quindi nella spiacevole posizione di dover rispondere a delle domande e di partecipare ad un classico dialogo terapeutico. Ogni intervento è musicalmente plausibile e vi è la possibilità di creare, provare e scegliere se approfondire o abbandonare un elemento per un altro. Questo fa sì che il contatto e la relazione con il terapeuta si allarghi ad un campo di possibilità espressive pressoché illimitato.

La musicoterapia è quindi molto indicata nella cura di tutti quei disturbi psicologici che portano ad una generale chiusura dell’individuo. Chiusura che naturalmente può essere controproducente anche a livello medico in caso di cura concomitante per malattie gravi. Tuttavia i campi di applicazione spaziano dalle terapie riabilitative (per esempio in caso di coma) a quelle di disturbi come l’emicrania o l’acufene.

                                                          Laura Venturi 
                                         

    


                                                  

 
 

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