FOGLIO LAPIS - OTTOBRE - 2010

 
 

Un esperimento avviato undici anni or sono in India apre la strada a un nuovo metodo pedagogico, l’istruzione non invasiva – Si basa sul libero accesso al computer da parte di gruppi di bambini, con l’intervento ridotto al minimo di mediatori adulti – Nato per combattere la dispersione scolastica e l’analfabetismo in aree disagiate, il sistema si è rivelato di utilità molto più generale, per esempio come supporto alle scuole rurali

 

Si chiama Hole in the Wall, buco nel muro, l’esperimento che nel 1999 prese le mosse in uno slum indiano, una di quelle baraccopoli in cui si accalca un’umanità derelitta, priva si risorse e di servizi. Si chiama così perché proprio in un muro era stato incastonato un computer con connessione internet, al quale i bambini del quartiere potevano avere libero accesso. Già un mese dopo l’installazione, ricorda Sugata Mitra, uno specialista indiano che insegna tecnologia educativa all’università britannica di Newcastle, fu possibile constatare che i bambini non avevano soltanto imparato a usare il computer, ma avevano anche acquisito competenze matematiche e linguistiche, imparando o migliorando il loro inglese. Altri computer furono piazzati nelle aree più sperdute dell’immenso paese, confermando i primi risultati.

Parlando lo scorso luglio a una conferenza organizzata a Oxford dal TED, un’organizzazione che si propone di diffondere le idee innovative, Mitra ha elencato questi risultati. Con il libero e pubblico accesso a postazioni internet, meglio se in gruppo, i bambini possono imparare a usare i computer, apprendere quel tanto d’inglese che serve per usare la posta elettronica e i motori di ricerca, impadronirsi delle tecniche elementari per trovare dati e informazioni. In questo modo quelli di loro che frequentano regolarmente la scuola riescono a superare gli esami prima del dovuto. Si abituano inoltre all’interazione sociale e imparano a formarsi opinioni indipendenti. L’esperimento Hole in the Wall ha permesso inoltre di misurare la qualità dell’insegnamento nel contesto indiano, arrivando alla conclusione che il rendimento scolastico è inversamente proporzionale alla distanza della scuola dai grandi centri urbani.

Questo è visibile anche in un paese ben diversamente dotato, come il Regno Unito: anche qui si registra un declino della qualità educativa quando si passa dalle aree più sviluppate a quelle economicamente più svantaggiate. La ragione, in India come in Gran Bretagna, consiste nel fatto che gli insegnanti migliori preferiscono lavorare in scuole collocate nelle zone più felici dal punto di vista economico e sociale. Questa realtà di fondo fa guardare con particolare interesse ai risultati dell’esperimento indiano, in particolare a un perfezionamento del sistema che si è rapidamente fatto strada: quello di prevedere la presenza il più possibile discreta di osservatori adulti proti a dare una mano nelle ricerche. Costoro non devono necessariamente avere competenze didattiche, vanno semplicemente considerati fra le “fonti” normalmente consultabili in rete.

Un ulteriore sviluppo del sistema chiama in causa i cosiddetti eMediators, mediatori elettronici, generalmente docenti in pensione che possono essere raggiunti non soltanto dagli Holes in the Wall, ma anche dalle scuole, per esempio istituti in aree rurali bisognosi di qualche apporto, e interagire con i soliti canali offerti dalla rete: posta elettronica, Skype, videoconferenze. Si fa dunque strada un concetto, quello dell’istruzione non invasiva, o minimamente invasiva: gruppi di bambini motivati all’apprendimento attraverso il computer, con intervento dall’alto ridotto il più possibile. Il professor Mitra si dice convinto che proprio lungo queste linee si svilupperà il futuro dell’istruzione: sarà interessante vedere che cosa ne pensano il corpo dei docenti e i suoi rappresentanti sindacali.

                                                          f. s. 
                                         

    


                                                  

 
 

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