FOGLIO LAPIS - OTTOBRE - 2005

 
 

Il bilancio dei primo dodici mesi di applicazione della norma che vieta di portare in classe simboli ostentatamente religiosi è considerato positivo dalle autorità francesi – Sono 143 gli alunni che hanno lasciato la loro scuola per non avere voluto adeguarsi alla legge: di questi, 96 si sono iscritti a istituti privati o al Centro nazionale d’insegnamento a distanza, 47 sono stati espulsi – Ma in molte famiglie, si assicura, il divieto è stato vissuto come una liberazione

 

 

A un anno dalla sua entrata in vigore, la legge francese che in nome della laicità dell’istruzione vieta l’esibizione a scuola di simboli religiosi può vantare secondo le autorità scolastiche un bilancio positivo. La norma fu varata il 15 marzo 2004, e come si ricorderà fu accolta da reazioni polemiche soprattutto da parte delle comunità musulmane, visto che era stata concepita soprattutto per contrastare l’abitudine di molte ragazze islamiche di frequentare le lezioni con il capo velato, secondo la tradizione coranica. Il bilancio del primo periodo di applicazione della norma, che corrisponde all’anno scolastico 2004-05, è contenuto in un rapporto che Hanifa Chérifi, ispettrice generale dell’educazione nazionale, ha presentato al ministro Gilles de Robien.

Nell’anno in questione, dunque, sono stati 639 i casi registrati di ostentazione di simboli religiosi, e già questo dato conferisce alla legge un forte valore deterrente, visto che l’anno precedente il fenomeno aveva avuto una rilevanza quantitativa all’incirca doppia. Fra i simboli contestati figurano undici turbanti sikh e due grandi croci cristiane: per il resto, cioè per la stragrande maggioranza degli episodi, si è trattato di veli islamici. La maggiore densità di casi si è registrata, ovviamente, nelle aree a più forte densità immigratoria: in particolare Strasburgo, Lilla e la grande banlieue parigina.

Nella maggior parte dei casi, esattamente 496, gli alunni hanno accettato di togliere gli oggetti contestati: la loro è stata insomma la pacifica contestazione di una legge che disapprovano, ma alla quale non intendono sottrarsi. Degli altri 143 alunni, gli irriducibili, 96 hanno volontariamente lasciato i rispettivi istituti scolastici iscrivendosi a scuole private, che sono fuori della portata della legge, o frequentando i corsi del Centro nazionale d’insegnamento a distanza. Le espulsioni si sono dunque ridotte a 47 casi, dei quali 44 per porto di velo islamico e gli altri tre per il turbante sikh. Ventotto fra gli espulsi hanno scelto la via giudiziaria facendo ricorso. Circa la metà dei ricorsi sono già stati esaminati, e ogni volta i provvedimenti di espulsione sono stati confermati dal giudice.

Secondo l’ispettrice Chérifi è possibile affermare, sulla base d’informazioni raccolte presso insegnanti e dirigenti d’istituto, che molte ragazze e molte famiglie hanno vissuto l’applicazione della legge come la liberazione da un obbligo sgradito. Tuttavia la questione non può considerarsi definitivamente risolta, si avverte nel rapporto, visto che negli strati più ortodossi delle minoranze musulmane e delle comunità sikh la norma è considerata un vero e proprio sopruso. Si fa anche notare che molte ragazze accettano sì di togliere il velo all’entrata nelle classi, ma poi se lo rimettono in capo quando escono da scuola. Cosa che del resto è nel loro pieno diritto.

 

                                                                  r.f.l.

                                                                                        

 

 
 

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