Se la società è malata

Ogni singola classe è un microcosmo sociale che riproduce in sé i caratteri del mondo che la circonda – Può anche riflettere la prepotenza del boss mafioso, o il pregiudizio razziale dell’ambiente di provenienza – Ma poiché l’istituzione scolastica non può abdicare alla funzione di trasmettere valori di tolleranza e di legalità, si verifica in quei casi un cortocircuito fra scuola e famiglia che è l’esatto contrario dell’auspicabile cooperazione educativa

Due episodi offerti dalla cronaca, storie che fanno riflettere. Primo episodio. In una scuola media di Roma una bambina ebrea viene derisa e ingiuriata, offesa e minacciata da un compagno di classe, evidentemente portatore di un pregiudizio antisemita assorbito fra le pareti di casa. Come va a concludersi la vicenda? Il problema viene pubblicamente discusso? Quella famiglia allevatrice di piccoli razzisti viene in qualche modo richiamata alle sue responsabilità? Niente affatto: è la vittima che se ne deve andare, come se fosse colpa sua. I suoi genitori le cercano un’altra scuola. Sarà soddisfatto il precoce persecutore: nel suo piccolo ha fatto la sua brava pulizia etnica. Sospiro di sollievo nella scuola: sono prevalse le ragioni del quieto vivere, l’interesse della stampa non dura che lo spazio di un mattino, presto quei rompiscatole dei giornalisti se ne saranno andati e tutto sarà finito. E la famiglia del sopraffattore, che ne dice? Che dice del proposito del sindaco Rutelli, che vuol portare le scuole di Roma in gita a Auschwitz? Secondo episodio. Questa volta siamo a Napoli, anzi a Secondigliano, uno di quei quartieri in cui il dissesto urbanistico va di pari passo con quello civile. Un insegnante rimprovera il figlio tredicenne di un caporione camorrista. Prontamente arriva la spedizione punitiva: botti da orbi al professore che finisce all’ospedale. Anche qui, come nel caso di Roma, è soprattutto interessante quel che accade dopo. La scuola denuncia pubblicamente l’accaduto? I ragazzi vengono invitati a riflettere su quell’universo distorto che è l’organizzazione criminale? Qualcuno gli spiega che la camorra è la rovina della loro città, la loro rovina? Niente affatto: ecco il bulletto impettito e tronfio, circondato dai compagni che gli fanno da guardie del corpo. Ha vinto lui e ne va fiero: ecco la classe che minimizza, i ragazzi che non ricordano. Minimizzano anche insegnanti e preside: non bisogna drammatizzare, sono cose che capitano, che ne sapete voi di Napoli? Il capo d’istituto viene sostituito e un coro di fischi accoglie la nuova preside. I ragazzi, e molti genitori, protestano: non c’era bisogno di cambiare proprio niente, tutto qui funzionava a meraviglia. I tre picchiatori offrono una loro versione tardiva: non ci ha mandato nessuno, la rissa è nata dopo che abbiamo contestato i metodi bruschi dell’insegnante. Insomma il violento è lui, il professore aggredito, che prende carta e penna e chiede il trasferimento. Sono storie amare, perché ci mostrano una scuola impotente davanti al cortocircuito che a volte si determina fra i valori che essa dovrebbe trasmettere e quelli assorbiti dai ragazzi nel loro ambiente familiare e sociale. Ora si parla di formazione speciale per gli insegnanti da impegnare nelle cosiddette aree a rischio. E’ giusto: tener cattedra in un ambiente sociale degradato richiede competenze aggiuntive rispetto a quelle didattiche tradizionali. Non è facile difendere una certa idea di società dove prevalgono idee esattamente contrapposte che nella scuola, di cui ogni singola classe è un microcosmo rappresentativo dell’universo sociale, si riflettono con assoluta fedeltà. Dove proprio chi dice no alla mentalità mafiosa rischia di apparire disadattato e di fatto lo è, in quel mondo di valori capovolti. Formazione speciale dunque, alla quale andrebbero affiancati incentivi economici e vantaggi professionali. Ma questo purtroppo non basta. Infatti non è solo l’emergenza a preoccupare. Se con interventi straordinari si può affrontare il problema di Secondigliano, rimane comunque insoluto quello di Roma. La scuola che ha ospitato il dramma della piccola ebrea serve un’area residenziale che sarebbe davvero improprio definire di prima linea. Qui siamo nella più disarmante normalità borghese. Normale il quartiere, normale la scuola, normali le famiglie e gli insegnanti. E’ forse da considerarsi normale anche il ragazzino che si è portato da casa il pregiudizio razziale, scaricando sulla compagna quello stesso odio che è la grande vergogna di questo secolo? Interrogativo pesante, in attesa di risposte.

                                                        Alfredo Venturi

 

Autonomia, istruzioni per l’uso

Il governo ha approvato il regolamento sull’autonomia scolastica proposto dal ministro Berlinguer – Riguarda l’organizzazione, la didattica e la ricerca – Il trasferimento di poteri ai singoli istituti a partire dall’anno scolastico 2000-2001 – “Si tratta di spostare l’accento”, dice il titolare della PI, “dal concetto di insegnamento a quello di apprendimento” – A parere di un sindacalista “sarà una scuola un po’ meno borbonica, con meno direttive che piovono dall’alto”

Adattamento del calendario scolastico, flessibilità dell’orario, superamento della struttura rigida della classe, iniziative di recupero e di sostegno, insegnamenti integrativi facoltativi, attività di cooperazione con altre scuole. Su tutti questi punti i singoli istituti scolastici potranno sperimentare vie nuove. Potranno farlo all’inizio dell’anno scolastico o ad anno iniziato, su proposta dei docenti o dei comitati dei genitori e degli allievi. Potranno farlo in collaborazione con gli enti locali, potranno chiedere, se lo vorranno, il sostegno del “nucleo di supporto tecnico-amministrativo dell’autonomia”, del provveditorato agli studi di competenza. Non ci sarà bisogno di autorizzazione, basterà inviare i progetti “per conoscenza” alle autorità scolastiche. Tutto questo fra due anni, a partire cioè dall’anno scolastico 2000-2001. si può ben dire che la scuola italiana saluterà il nuovo millennio con una faccia nuova. Speriamo che sappia farlo non soltanto come titolare formale di poteri nuovi, ma anche come utilizzatrice effettiva degli stessi. Le premesse ci sono, e sono incoraggianti. Prende infatti corpo, con l’approvazione da parte del consiglio dei ministri del regolamento sull’autonomia, il tanto atteso decentramento dei poteri in materia di pubblica istruzione, parte di un progetto più generale di riforma che comprende il riordino dei cicli e il prolungamento della durata dell’obbligo, che andrà gradualmente portata fino ai dodici anni (dai sei ai diciotto di età). Nel presentare alla stampa il regolamento sull’autonomia, il ministro Luigi Berlinguer sottolinea che non si tratta di un semplice ritocco organizzativo: “si tratta soprattutto di rinnovare l’insegnamento, di riorganizzare e riformare la didattica, di spostare l’accento dal concetto di insegnamento a quello di apprendimento”. Accanto alle misure sulla parità scolastica, sulle quali ci soffermeremo nel prossimo numero di FOGLIO LAPIS, quelle che traducono nei fatti la storica aspirazione all’autonomia della scuola italiana vogliono essere, nelle intenzioni governative, un contributo alla modernizzazione del paese attraverso il miglioramento dell’offerta formativa. Commenta un sindacalista, il segretario generale aggiunto della Cisl-Scuola Sandro D’Ambrosio: “sarà una scuola un po’ meno borbonica, con meno direttive che piovono dall’alto”. Infatti lo stato si limiterà a individuare gli obbiettivi generali e gli standard, con un ruolo di garante della qualità dell’offerta formativa. Rimarranno di competenza centrale il reclutamento e la mobilità del personale docente e non docente con rapporto a tempo indeterminato, le autorizzazioni per utilizzazioni ed esoneri per i quali sia previsto un contingente nazionale, le autorizzazioni per comandi e collocamenti fuori ruolo, il riconoscimento dei titoli di studio stranieri. Un ministero della pubblica istruzione ristrutturato in profondità verrà in pratica adeguato al suo ruolo residuo, comunque rilevante: avrà infatti funzioni di indirizzo, programmazione, ricerca e sviluppo, controllo e valutazione. Con una evoluzione simile, sul piano locale, anche i provveditorati cederanno competenze agli istituti scolastici. Inoltre continueranno ad avere valore per tutti alcuni elementi di carattere generale, come la durata complessiva delle lezioni, il fatto che le lezioni stesse andranno scaglionate su almeno cinque giorni alla settimana, il numero di ore per le materie fondamentali, la durata del lavoro per gli insegnanti. Ma all’interno di questa intelaiatura di base ogni scuola potrà organizzarsi a sua scelta. Tempi flessibili, introduzione di insegnamenti facoltativi, interattività con altre scuole con possibilità di scambio temporaneo di docenti, facoltà di utilizzare le strutture per l’intera giornata e volendo anche i giorni festivi per eventuali attività collaterali. Nel caso che le sperimentazioni comportino oneri aggiuntivi, l’istituto scolastico potrà introdurre nel proprio bilancio le variazioni del caso. E’ infatti prevista anche una sorta di autonomia finanziaria, che consenta alla singola scuola di gestire le proprie attività attraverso scelte che siano legate non soltanto a considerazioni di ordine organizzativo o didattico ma anche a un principio di produttività. Vengono in questo modo introdotti nella scuola elementi di gestione manageriale che potrebbero alla lunga rivelarsi preziosi, dovrebbero infatti contribuire a “decalcificare” le nostre istituzioni formative, eliminando quelle secolari incrostazioni che rendono così poco agile, da sempre, il cammino e così marginale il ruolo nella società. Di particolare interesse, di fronte alla piaga della dispersione scolastica, la prospettiva aperta dall’autonomia in materia di lotta contro il disagio e gli abbandoni. Il regolamento dice basta (o per essere più precisi invita le scuole a dire basta…) alle attuali classi rigide nelle quali i ragazzi in ritardo di apprendimento finiscono col perdersi, senza possibilità di riagganciare i compagni. Per recuperare gli alunni in difficoltà si potranno formare dei gruppi che non coincidono con le classi tradizionali, nei quali l’insegnamento venga personalizzato e finalizzato a superare il ritardo. Interessante anche la libertà di fissare gli orari delle lezioni, con il solo limite dei cinque giorni settimanali (in pratica ogni singola scuola potrà scegliere fra un orario addensato in cinque giorni e uno più diluito che coinvolga anche il sabato) e di un numero minimo di ore per le materie fondamentali. Si potranno anche sperimentare nuove forme di aggregazione fra le materie. Sono prospettive di notevole interesse, ma per docenti e discenti, per istituzioni e famiglie, insomma per l’intero corpaccione sonnacchioso della scuola italiana, abituato da decenni a vegetare fra le ovvietà della sua routine, si tratta di una sfida difficile. Dipenderà da come la periferia saprà accogliere e interpretare l’invito del centro, se la scuola del Duemila sarà all’altezza delle generali aspettative di modernità e di efficienza, trasformandosi in un solido pilastro del nostro futuro nazionale e europeo. Questa scommessa è legata al suo “divenire”, che come dicevano i filosofi idealisti non è altro che il passaggio dalla potenza all’atto. In questo regolamento, e negli altri propositi di riforma che lo precedono, lo accompagnano e lo seguiranno, è infatti racchiusa una scuola potenziale di alto livello. Se “diverrà”, se si trasformerà nella scuola “attuale” dei nostri figli e dei nostri nipoti e delle generazioni che seguiranno,dipenderà da come, a partire dall’anno scolastico 2000-2001, presidi e insegnanti, alunni e famiglie, sapranno gestire i loro nuovi poteri.

                                                                           a.v.

 

Il dialogo fra la prima e la terza età

Lo ha riconosciuto anche una sentenza giudiziaria: per una crescita armoniosa il ruolo dei nonni è insostituibile – Apporto affettivo e trasmissione di esperienze e di saggezza – Come centinaia di bambini e ragazzi di Cagliari, sollecitati da una singolare iniziativa, hanno saputo cogliere l’essenza del rapporto fra le due generazioni estreme – Il problema della solitudine degli anziani, vissuto dai nipoti come una intollerabile ingiustizia

Fu un’idea dell’arcivescovo di Cagliari, Ottorino Pietro Alberti. Poiché nel capoluogo sardo si celebrava da alcuni anni la Festa dei Nonni, gli era venuta la curiosità di conoscere meglio quale immagine dei nonni avessero i loro nipoti. Di qui l’invito alle scuole elementari e alle medie inferiori della città: sollecitare composizioni, poesie e disegni su quel tema specifico. Nel quadro della Festa in programma nel luglio 1993, una commissione avrebbe vagliato il materiale giunto dalle scuole, anche per premiare i lavori considerati migliori. Dall’iniziativa è uscito un piccolo libro, Nonni e bambini (Edizioni della Torre, Cagliari) in cui è raccolta una scelta fra i 700 elaborati con cui le scolaresche della città risposero all’iniziativa. E’ una lettura quanto mai suggestiva, che conferma senza ombra di dubbio lo spirito di una recente sentenza, con cui la magistratura ha stabilito l’insostituibilità del ruolo del nonno nella famiglia, in pratica il diritto dei bambini di avvalersi, come del resto è nella nostra tradizione patriarcale, non solo degli apporti affettivi ma anche della trasmissione di esperienze e di saggezza che solo questa figura è in grado di garantire. Con il loro linguaggio immediato, che punta dritto all’essenza delle cose, i piccoli hanno centrato il nocciolo del problema: il fatto cioè che quel ruolo fondamentale è in gran parte disconosciuto nella società di oggi. I nipoti parlano della emarginazione degli anziani, del loro isolamento e della loro solitudine: considerano tutto questo una grave iniquità e giudicano con severità certi egoistici comportamenti dei genitori, quelli che sfruttano i vecchi fino a quando sono sfruttabili per poi relegarli all’ospizio. In positivo, gli scolari cagliaritani parlano di come i nonni sanno arricchire la visione del mondo dei piccoli: con i loro racconti, con la loro paziente disponibilità al gioco e al dialogo, con la trasmissione delle tante cose che conoscono, con il loro patrimonio di umanità e di simpatia. C’è il nonno che parla di politica litigando con i figli che la pensano diversamente: ma in questo modo offrendo ai nipoti il grande insegnamento del confronto delle opinioni. C’è quello che si addormenta davanti al solitario con le carte. C’è la nonna triste ma forte, capace di non versare lacrime davanti alle avversità della vita. C’è quella che rievoca il tempo che fu, personalissima lezione di storia locale. E c’è quella che non è stata a scuola, ma non per questo è incapace di aiutare la nipotina a fare i compiti di matematica. Di queste fresche testimonianze ecco un’ampia antologia colta fra le pagine del libro, che porta un sottotitolo significativo: I problemi degli anziani chiamati dai bambini nonni. Preferiamo non pubblicare i nomi dei piccoli autori, sia perché le brevi citazioni avulse dal contesto non rendono giustizia alla complessità del discorso, sia perché alcuni anni sono passati, il che significa non solo che i ragazzi sono cresciuti, ma anche che l’inesorabile legge dell’età può aver fatto scomparire alcune fra le persone di cui si parla. “Molti lo considerano un vecchio mobile ingombrante che deve essere messo in un ripostiglio, in modo che non disturbi…”. “Grazie nonna Elena di avermi dato una madre attenta e brava”. “Cara nonna Agnese, ora che ti è morto nonno sarai triste, ma ti prometto che non ti lascerò da sola”. “Il nonno parla volentieri di politica. Lui dice una cosa, papà ne dice un’altra e lo zio un’altra ancora. Finisce spesso che bisticciano”. “Le mani del nonno, forti, grandi, che hanno lavorato tanto, che hanno aiutato tutti… ora gli bastano ancora per darmi delle carezze”. “Con me la nonna è molto comprensiva; quando le chiedo di spiegarmi qualche cosa me la spiega nei minimi particolari”. “Il momento migliore per stare vicino al nonno è quando gioca a carte da solo. Sta immobile, con le braccia sul tavolo, fissando le carte con aria preoccupata, ed è così concentrato che quasi sempre si addormenta. Avere un nonno è una gran bella cosa”. “Mia nonna sa essere forte anche nei momenti più brutti della sua vita e quando è infelice non vuole farlo sapere e non versa una sola lacrima”. “La nonna mi parla tante volte di come era Cagliari vecchia, della casa dove abitava la piccola, di quello che combinava, di quando ha conosciuto mio nonno…”. “I nonni a voltesi sentono emarginati per colpa delle critiche: ‘non sai fare più nulla’. Quindi soffrono tantissimo”. “Quando sento mio nonno raccontare qualche episodio dei suoi anni giovanili vedo che il suo sguardo si accende di una luce strana. A me piace molto ascoltare i miei nonni”. “Mio nonno non vuole che io faccia il monello, ma quando i miei genitori mi sgridano lui mi difende e mi rassicura”. “Certe volte la nonna mi aiuta a fare le operazioni perché anche se non ha frequentato la scuola sa fare il pane e di operazioni se ne intende”. “I miei nonni a me e a mia sorella Sara e a mamma ci hanno aiutati nei momenti difficili, perché la mamma è separata da nostro padre”. “I vecchi secondo me non si dovrebbero trattare male perché un giorno anche noi saremo vecchi e ci dispiacerà se ci maltratteranno”. “Se non andiamo a trovare i nonni essi si sentono inutili… ma se noi andiamo a trovarli si rallegrano subito”. “Talvolta scartano queste persone, che sono deboli e indifese come i bambini, li lasciano negli ospizi fino alla morte. Questo a me da molto fastidio, perché sono ingiusti e cattivi verso queste persone…”. “Io voglio bene alle mie nonne e non permetto a nessuno di umiliarle o maltrattarle”. “Vorrei dire a tutti quanti che è bello avere vicino i nonni. Essi sono come un pianeta lontano dove ci sono moltissime cose che non ci sono più sulla terra”. “Quando guardo il nonno, mi immagino che tante volte lui sta pensando a sua moglie morta. Forse si sente solo. Quando sono a casa mia lo penso e lo sogno”. “I valori come l’amicizia, la solidarietà e l’onestà erano molto importanti quando i miei nonni erano giovani e sono gli stessi valori che ora cercano di trasmettere a me”. “Quando guardo mio nonno penso… che potrebbe assomigliare a una radio dimenticata accesa, perché sta sempre parlando e dice sempre le stesse cose”. “Mio nonno assomiglia a una palla e io mi sento una pallina che gli rotola dietro”.

 

Quando il voto lo dà la classe

I problematici risultati di un “piccolo sondaggio sul gradimento della scuola” realizzato dalla LAPIS in una piazza di Arezzo durante le giornate del Forum della Solidarietà – Una ricerca senza pretese su un campione di 155 alunni della scuola dell’obbligo che hanno accettato di riempire i nostri formulari – Il dato che emerge immediato è il deterioramento che l’immagine scolastica subisce nel passaggio dalle elementari alle medie – Quanto è diffusa l’insofferenza per gli insegnanti

Un campione piccolo ma assai significativo se non proprio rappresentativo del suo universo statistico. Sono gli alunni delle elementari e delle medie che fra il 2 e il 4 ottobre scorsi, durante le giornate del Forum della Solidarietà dedicate quest’annoalla difesa dei diritti umani nel mondo, hanno visitato in una piazza di Arezzo lo stand della LAPIS e hanno accettato di riempire i nostri formulari. Sono stati 155, dei quali 48 frequentano le elementari, fra la seconda e la quinta, e 107 sono suddivisi fra le tre classi della media inferiore. Alcuni erano raggruppati in classi che visitavano il Forum con i loro insegnanti, altri si aggiravano fra gli stando alla spicciolata, a volte in piccoli gruppi di amici o in compagnia dei genitori. Nei formulari si chiedeva di dare “alla tua scuola” un voto compreso fra 1 e 10 e di indicare “che cosa ti piace a scuola” e “che cosa non ti piace”. Si chiedeva infine di specificare la classe frequentata. Ebbene, veniamo dunque al voto. Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, e persino in parziale contrasto con le risposte date alle due domande sostanziali, dal nostro esperimento la scuola esce promossa, sia pure con poco più della sufficienza per i ragazzi delle medie: 6,6 la media dei loro voti. Molto più generosi, o se si preferisce non ancora delusi, i piccoli delle elementari, che hanno mediamente assegnato alla scuola un confortante 8,7. bisogna precisare che si tratta di valori medi ricavati da valutazioni numericamente assai eterogenee. Per esempio nonostante fosse richiesto di dare un voto compreso fra 1 e 10 non sono mancati alcuni impietosi 0, del resto appena parzialmente compensati da qualche 10. Era quasi inevitabile che in testa alle risposte alla prima domanda di contenuto (“che cosa ti piace a scuola?”) figurassero preferenze il meno possibile “scolastiche”. Infatti al primo posto per i piccoli delle elementari c’è ovviamente l’intervallo (circa il 30 per cento delle risposte), mentre fra i ragazzi delle medie c’è stato un vero e proprio plebiscito a favore dell’educazione fisica. Fra un terzo e la metà degli alunni interpellati indica infatti nell’ora di ginnastica (a volte sbrigativamente indicata come “fisica”, tanto da far sorgere qualche illusione sulle vocazioni scientifiche dei nostri ragazzi) il nec plus ultra della loro esperienza di scuola. Piazza d’onore, sempre alle medie, per il solito intervallo, del resto da alcuni giudicato “troppo corto”. Per i più piccoli, invece, una indicazione lusinghiera a favore della storia. E’ la materia preferita dal 28 per cento degli interpellati, seguita da italiano, circa il 15 per cento, e poi a debita distanza da geografia, scienze, matematica, disegno. Le materie indicate come preferite dagli alunni delle medie sono invece nell’ordine matematica (9 per cento), educazione artistica (7 per cento), musica (4 per cento). Ma sono abbondantemente superate da indicazioni del tutto diverse, che attengono non ai contenuti programmatici ma alla scuola come luogo di socializzazione. Circa il 15 per cento degli interpellati, alla domanda “che cosa ti piace a scuola?”, dà infatti risposte come “i compagni”, o “le ragazze”, o “gli amici”. Uno di loro mostra di avere a cuore la completezza dell’informazione e annota imparziale “alcune materie e le ragazze”. Alcuni altri generalizzano in un senso o nell’altro, rispondendo “tutto” o “quasi tutto”, o al contrario “niente” o “quasi niente”. Risposte di quest’ultimo tipo sono del tutto assenti fra i piccoli delle elementari, evidentemente non ancora portati alla relativa astrazione del “tutto” o del “niente”. Fra di loro si affacciano invece i primi omaggi alla socializzazione con alcune indicazioni quali “gli amici”, “l’amicizia” e persino, in tre casi, “la maestra”. Veniamo ora alla seconda domanda specifica: “che cosa non ti piace?”. Una domanda che sembra fatta apposta per provocare lo spirito polemico dei ragazzi, assai pronunciato alle medie. Gli alunni delle elementari danno invece risposte più serene. Per loro, in testa a questa specie di gradimento alla rovescia è la matematica, considerata la bestia nera da più del 30 per cento. Ma anche italiano è messo piuttosto male: non piace infatti a un quarto degli interpellati. Seguono musica e inglese, mentre altri danno risposte più specifiche, prendendosela per esempio con l’analisi grammaticale o con i troppi compiti a casa, in particolare con i testi da riassumere. Un bambino lamenta “il comportamento dei compagni”, un altro “le punizioni”, un altro infine “il piazzale troppo piccolo”. E’ naturalmente alle medie che di fronte ala domanda “che cosa non ti piace?” si rivelano disagio e ostilità, insomma il bennato rapporto problematico con l’istituzione scolastica, che si manifesta in molti casi proprio con il passaggio dall’istruzione elementare alla seconda tappa dell’obbligo. A un numero considerevole di ragazzi, oltre il 9 per cento degli alunni che ci hanno risposto, della scuola non va bene proprio niente, o quasi niente. Quasi un quarto del nostro campione lamenta i compiti a casa o i compiti in classe, o i troppi compiti in generale. Il 14 per cento dichiara apertamente la propria insofferenza per gli insegnanti. Lo fa con indicazioni generiche (“i prof”, “le prof”) o specifiche (“la prof d’inglese”,  “le prof e la preside”). Un sei per cento segnala come cosa non gradita “il resto” o “tutto il resto”, riferendosi alla risposta formulata alla precedente domanda (esempio tipico, a testimonianza di un gradimento davvero troppo parziale: “che cosa ti piace a scuola?” “Educazione fisica”. “Che cosa non ti piace?” “Tutto il resto”). Fra coloro che entrano nel merito dei programmi, anche alle medie è la matematica a suscitare le maggiori ostilità, non piace infatti all’8 per cento degli interpellati: ma come si è visto occupa il primo posto anche fra le materie indicate comete più gradite. Segno chiaro che accanto alle ragioni oggettive (il programma, la didattica, la qualità dell’insegnamento), bisogna considerare anche quelle soggettive (l’attitudine, il rapporto personale con la materia). Seguono fra le indicazioni negative educazione tecnica (6 per cento), italiano e educazione artistica (4 per cento), inglese, storia e musica (3 per cento). Ci sembra degna di nota la quasi totale disponibilità dei ragazzi a dare comunque una risposta: soltanto due di loro si sono rifiutati, rispondendo alla domanda “che cosa non ti piace?” rispettivamente “sono fatti miei” e “no comment”. Al contrario molti ragazzi hanno scelto, nonostante non fosse richiesto, di firmare con nome e cognome il loro formulario: atteggiamento che ci pare indicativo, al di là delle molte critiche espresse, di un diffuso desiderio di essere ascoltati, e se possibile capiti.

                                                                        f.s.

 

Insegnare la fantastica

A partire da questo numero di FOGLIO LAPIS il prof. Filippo Nibbi illustra in una serie di articoli i segreti di quella che definisce “l’arte di inventare il possibile e di renderlo reale con il gusto del sogno, della creatività e del piacere” – Un contributo, che siamo ben lieti di ospitare, a quel recupero dell’immaginazione e dei suoi poteri liberatori che appare tanto necessario oggi, sul finire di questo secolo cupo, per riconciliare il mondo con se stesso

Fantastica: “L’arte di inventare il possibile e di renderlo reale con il gusto del sogno, della creatività e del piacere” (F. Nibbi): disciplina propedeutica alla poesia (momento di autenticità assoluta, conseguito mediante la re-invenzione linguistica e la ri-fondazione della realtà). (Devoto – Oli, Dizionario della lingua italiana).

La Fantastica – aggiungo – è l’unico modo per lavorare coi giocattoli. La radice storica della parola è la seguente: “Se avessimo anche una Fantastica, come una Logica, sarebbe scoperta l’arte di inventare”. E’ quanto ipotizza un poeta tedesco, Novalis (1772 – 1801), attraverso un “frammento” intuitivo di fantasia, basato sulla fondamentale scoperta del carattere scientifico della fantasia, e fondamentalmente linguistico. In altre parole: se Pinocchio è un giocattolo, iniziando proprio dalla parola, che forma con Geppetto un binomio fantastico, scopriamo che ci sono parole che agiscono per lavorare coi giocattoli: li costruiscono, sviluppando una fantasia che straripa come anticamente il Nilo, rendendo fertile il terreno della storia umana. Lavorando coi giocattoli, Nilo divenne un bambino, che esiste veramente: si chiama Nilo Australi. Abita a Figline in Valdarno. Ha fatto un disegno poderoso, questo. Nilo mi disse che il naso di Pinocchio era lo stendino delle bugie. Più s’allungava, più bugie ci si potevano appendere. “Bene!”, gli dissi io: “Hai scopertoche le bugie sono utili. Perché assolvono una doppia funzione: quella di fare allungare il naso e quella di usarlo come stendino”.

Il papà, che ne pensa?

Ma mamma, sarà contenta?

Che dice la maestra?

Il disegno di Nilo suggerisce un modo per la reinvenzione linguistica e la rifondazione della realtà. Forse, l’unico modo. Se gli uomini da soli non ci arrivano, sarà una scimmiotta a suggerire la strada da seguire. Allora, la testa si riempirà di fantasia, e tornerà a galla come una nave affondata dalla diffidenza, dal terrore, dall’ignoranza. E gli uomini riprenderanno il proprio cammino nella storia dalla parte opposta. Diventeranno costruttori di pace, anziché di guerra. E i pacifici possederanno la terra.dice questo il disegno di Nilo. Come fare? Torniamo alle origini. All’albero della conoscenza del bene e del male. Gli uomini per potersi riconoscere devono – innanzitutto – potersi annusare. Gli annusamenti portano alla vera conoscenza. Impegnano tutti i sensi. Ci fanno tornare “animali” in maniera specifica, dal latino animalis-e “animato, che dà vita”. Ognuno per annusare ed essere annusato, deve essere tuttuno: tuttora, tututto, una cosa sola con la propria lingua, come Pinocchio e il pezzo di legno da catasta. Pinocchio può annusare ed essere annusato perché conserva il profumo di un pezzo di legno da catasta. In base a questo profumo, può essere in carne e ossa e di legno, può essere anche usato come cane; si può dire: “Pinocchio aveva il fiuto di un cane… Invece di stare alla catena, poteva trovare i tartufi”. Aggiunse Nilo: “I grandi non capiscono mai niente!”. Come si fa ad essere tuttuno tuttora tututto, una cosa sola con la propria lingua? Faccio un esempio: Cecilia, che esiste veramente come Nilo, abita a Monte San Savino, quando aveva due anni, vide il vento dalla finestra e disse questa parolina: “ventorale”. E’ una parolina della lingua di Cecilia. E’ molto affascinante. Cecilia si fa annusare e annusa attraverso paroline come questa. E’ lei chemi ha detto “il mio babbo mi ha fatto lavorare coi giocattoli”. E così si scopre che la famiglia, poi l’asilo nido, poi la scuola materna ed elementare… tutta la vita, possono diventare tuttuno tuttora tututto, una cosa sola con la reinvenzione linguistica e la rifondazione della realtà.

Per fare questo, dobbiamo – come dice Cecilia: “Lavorare coi giocattoli”. E come?… Si potrebbe:

1-     Lavorare coi giocattoli insieme ai bambini.

2-     Mandare a mente tutte le parole nuove, cha nascono dalla corrispondenza biunivoca “bambino – oggetto” come dalla corrispondenza “Geppetto – pezzo di legno”.

3-     Diventare “bambini” in proprio.

4-     Correggere mai.

5-     Annusare e farsi annusare mediante la lingua personale.

Che succederà? Avete in casa un cane? Basta osservare il comportamento dei cani. Annusandola, il cane maschio si accorge se la femmina è recettiva o non lo è. E lei, dal canto suo, pubblicizza la propria disponibilità all’accoppiamento diffondendo intorno a sé feromoni profumati. E così con gli uomini. Lavorare coi giocattoli significa fare tanti Pinocchio: fare uomini fatti di parole profumate, venuti su con parole personali. Poesia, infatti, deriva da un verbo greco che significa “fare”. Per aiutare famiglie, asili nido, scuola materna ed elementare, a lavorare coi giocattoli, potremmo, all’inizio, pensare di formare dei “Ròdari club”. Perché “Ròdari club”? Perché Gianni Rodari è il fondatore della Fantastica.

Nei prossimi numeri di FOGLIO LAPIS continueremo a parlare della Fantastica. Intanto, quanti hanno capito qualcosa già da quello che ho detto, e vogliono formare i “Ròdari club”, possono comunicare intenzioni e suggerimenti a:

                                                Filippo Nibbi

                                                              (1 – continua)

 

Ma non basta mandarli a scuola

Non ha molto senso combattere l’evasione se poi il risultato è una sorta di dispersione interna segnalata dall’aumento delle bocciature – Il disagio scolastico va infatti inserito nel suo contesto sociale – In certi quartieri di Palermo sono proprio i ragazzi perfettamente integrati in una società degradata, rispetto alla quale la scuola è un corpo estraneo, ad abbandonare i banchi – Il problema del lavoro e la sua connessione con le politiche del liberismo monetarista

Proseguiamo la pubblicazione delle relazioni svolte al convegno di studi sul tema L’evasione scolastica, una sfida per la società, organizzato ad Arezzo il 25 e 26 ottobre 1997. In questo numero la parte conclusiva dell’intervento del prof. Nino Rocca, presidente del Centro sociale Francesco Saverio di Palermo

Dunque la scuola deve cambiare. Non è il ragazzino che è deviato nella scuola, perché il ragazzino è perfettamente integrato nel quartiere. In un quartiere come Albergherai, in cui c’è il 70 per cento di disoccupati e in cui le attività sono il toto nero, la corsa clandestina dei cavalli, il contrabbando di sigarette, il traffico della droga, la riffa, e tanti altri piccoli espedienti di lavori informali o di lavori illegali, di economia illegale, è chiaro che Salvatore che sceglie di fare il contrabbando è certamente più integrato di un altro ragazzino che decide di andare a scuola. E allora la deviazione dove sta? Sta dalla parte della scuola rispetto all’ambiente e non dalla parte del ragazzino rispetto all’ambiente. Allora  l’intervento che è stato fatto da parte del provveditorato agli studi per cui la dispersione a livello cittadino è passata dal ’92 al ’97 dal 16,8 per cento al 13,9 per cento non significa che si è fatto un grande passo avanti, significa soltanto che i ragazzi continuano ad andare a scuola ma a scuola poi vengono bocciati. Le bocciature in questi ultimi anni sono aumentate di gran lunga rispetto al passato, in cui la dispersione era maggiore ma erano minori le bocciature. Allora questa dispersione è passata da fuori della scuola a dentro la scuola. Ma andiamo al caso di chi compie questo percorso scolastico, arriva alla scuola media ed è in regola con l’obbligo scolastico. Ed è ancora un caso concreto, Pino. E’ un ragazzo che ormai ha quasi trent’anni, ha fatto tutte le scuole, però come ogni ragazzo di quartiere, pure avendo fatto la terza media ha grosse lacune. E’ capace di leggere e scrivere, ha anche una certa sensibilità culturale perché ogni tanto legge pure qualche libro, però si rende conto che tra lui di Sette Cannoni, quartiere particolarmente denso di criminalità non solo minorile ma anche di adulti e un ragazzo che ha frequentato il Gonzaga o ha frequentato il Garibaldi, la scuola “in” di Palermo, c’è un abisso. Sono due mondi che non possono incontrarsi. Sa bene che con la sua licenza media non può aspirare a fare nulla. Pino, pur essendo un ragazzo intelligente, vivace, vive e ha continuato a vivere nel quartiere, ha fatto la sua scelta etica che è quella di non mettersi nel traffico della droga, però questa scelta la sta pagando cara. E’ un disoccupato. E’ uno che ama la ragazza ma non può sposarsi perché non può mantenerla, non ha alcuna formazione professionale, la scuola gli ha dato un minimo di informazione che non gli serve a nulla. Perché dico questo? Perché credo che il problema della dispersione scolastica deve essere in qualche modo inserito in un contesto più ampio. Deve essere inserito nel contesto della realtà socioeconomica di una società. Dicevo all’inizio che Palermo e la Sicilia si avviano a diventare un paese più vicino al modello sudamericano che non al modello europeo. Rispetto al problema di carattere sociale ed economico, lottare contro la dispersione scolastica per noi significa fare la lotta per il lavoro, fare la lotta contro questa tendenza del liberismo economico che ormai sta distruggendo quel poco di sociale che ancora rimaneva, fare la lotta contro i dettami di Maastricht attraverso cui il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale indicano come modello di sviluppo il taglio alle spese pubbliche e i programmi di aggiustamento strutturale, il taglio alle spese pubbliche e la privatizzazione. E’ quello che sta avvenendo in tutta Italia ed è quello che sta provocando una maggiore separazione, un maggiore aggravarsi della situazione della emarginazione delle fasce più deboli. Purtroppo non posso ampliare così il discorso, voglio soltanto dire che il problema dell’economia illegale – voglio spendere soltanto due paroline – è un problema molto complesso. E’ un problema molto complesso perché parte innanzitutto dalla definizione della mafia, di mafia si è troppo abusato da parte nostra e purtroppo non c’è stato anche da parte dell’università di Palermo un approfondimento adeguato rispetto a questo fenomeno che è un fenomeno molto complesso. Perché noi abbiamo da una parte Totò Riina, che è il macellaio di Cosa Nostra, dall’altra parte Aglieri, che aveva quando è stato catturato sul comodino Edith Stein. E né l’uno né l’altro sono l’immagine della mafia buona e della mafia cattiva, sono tutti e due mafiosi, anzi, la classe sociale che domina e controlla la mafia è la borghesia mafiosa, non è certo il poveraccio dei quartieri. Ecco, la definizione della mafia – la prendo da Umberto Santino che è uno studioso della mafia – l’ipotesi definitoria adottata nella elaborazione del paradigma della complessità è la seguente: mafia è un insieme di organizzazioni criminali di cui la più importante ma non l’unica è Cosa Nostra, che agiscono all’interno di un vasto e ramificato contesto relazionale configurando un sistema di violenze e di illegalità finalizzato all’accumulazione del capitale e all’acquisizione e gestione di posizioni di potere e che si avvale di un codice culturale e gode di un certo consenso sociale. La mafia è per certi aspetti transclassista, interclassista, per altri aspetti però ha dei precisi riferimenti, ha un suo codice culturale, ha un suo linguaggio ecc., che è quello che ritroviamo nei quartieri. Questo complica moltissimo le cose perché quando si dice recuperiamo la cultura popolare, la cultura popolare è anche molto impregnata di mafia e di categorie mafiose. Quindi il problema per la Sicilia  diventa un problema molto complesso. Nonostante questo io credo – andiamo alle proposte concrete – che lo sforzo che si debba fare per una scuola nuova e per una progettazione nuova è innanzitutto nella direzione del Progetto Albergherai della scuola, una sorta di scuola come città dei ragazzi, in cui i ragazzi si inventano e costruiscono un percorso, una città propria, all’interno della quale poi imparano attraverso i vari mestieri a leggere e scrivere e a far di conto. Ma la scommessa della evasione scolastica e della dispersione scolastica non può essere vinta soltanto attraverso la pedagogia, ci vuole anche un progetto politico nuovo. Un progetto politico che tenga conto anche dell’economia. Una scuola che non si fa carico dell’inserimento lavorativo dei ragazzi è una scuola già perdente in partenza, che non può attrarre e convincere i ragazzini intelligenti come Salvatore e tanti altri. C’è poi l’ultimo aspetto, sempre dal punto di vista propositivo, che è il problema del recupero dei ragazzi. Spesso il tribunale dei minorenni – noi abbiamo il triste primato della criminalità minorile assieme a Catania, sono più di settecento ogni anno i ragazzi che passano al tribunale dei minorenni – la criminalità minorile trova la sua giustificazione proprio in questo contesto. In una città che campa di lavoro nero, di lavoro minorile sfruttato ecc., un ragazzino che ha un po’ di cervello in testa a un certo punto capisce che è molto più conveniente e divertente fare lo scippatore o rubacchiare o addirittura se ne ha la possibilità vende la droga, piuttosto che essere sfruttato dal barista o dal commerciante per due soldi. Quindi è la facile conclusione di un certo percorso. Rispetto a questo anche qui innanzitutto mancano le figure professionali. La Sicilia è una delle poche regioni dove nonostante il grosso problema minorile non è riconosciuta la figura dell’educatore di strada. Questa figura professionale nuova non è prevista né dall’università né dalle istituzioni, per cui queste figure, che dovrebbero essere mediatrici fra la società e la scuola o non esistono, o sono figure improvvisate che vengono pagate due soldi, con un gettone di presenza. Del resto la presenza degli educatori di strada non è sufficiente se tutto questo poi non è inserito in un progetto lavorativo, di inserimento lavorativo alternativo. Perché a Salvatore non posso dire vai a scuola, e poi, i soldi per mantenere la famiglia o per campare chi te li dà? E la scuola, che cosa ti promette? Ecco, io concludo… con l’augurio e l’auspicio che questo confronto su queste tematiche particolarmente delicate possa avere un riscontro non solo nell’ambito accademico ma anche nell’ambito istituzionale per la soluzione di questi problemi.

 

                                                  ( 6 – continua )

 

 

                                                                                                     

 

 

                                                                                                     

 

Torna all'archivio delle nostre iniziative

Scrivici!