FOGLIO LAPIS - MAGGIO 2002

 
 

Ha suscitato vasto interesse la nostra indagine sulla progressiva scomparsa della figura maschile dall’insegnamento, soprattutto elementare – Sul caso dell’”ultimo maestro” una lettera aperta a Letizia Moratti dello psicoanalista Claudio Risé – Autore fra l’altro di Essere uomini e Il maschio selvatico, Risé è l’ispiratore di un movimento che si batte per il recupero dei valori maschili, in particolare per il rilancio della figura paterna e del ruolo educativo del padre

 

C’era una volta il maestro, la nostra raccolta d’interviste sulla carenza della figura maschile nell’insegnamento, soprattutto elementare, ha avuto una vasta eco e ha fatto molto discutere. Tanto che ci preme sottolineare nuovamente un punto su cui non devono sussistere equivoci: noi non abbiamo nulla contro l’insegnante di sesso femminile, semplicemente consideriamo che sia un male la progressiva scomparsa, in particolare dalla scuola di base, del suo collega di sesso maschile. E questo per almeno due ragioni: perché ai bambini viene del tutto a mancare, nella fase cruciale della crescita, un essenziale modello di riferimento, e perché il fenomeno è spia di un profondo disagio nella scuola, di fatto disertata dai giovani come prospettiva di lavoro per ragioni di prestigio sociale e di trattamento economico, oltre che per le lunghissime attese del precariato, più facilmente neutralizzabili sul versante femminile.

Il dibattito aperto dalla nostra iniziativa viene ora allargato dalla scuola alla famiglia e alla società nel suo insieme. C’è una corrente di pensiero, ispirata in Italia dallo psicoanalista Claudio Risé dell’università di Trieste (www.claudio-rise.it), che assiste con preoccupazione alla scomparsa non soltanto del maestro ma anche del padre, e più in generale dei valori maschili. Scompare il padre nel senso che il suo ruolo ha subito nelle società industriali dominate dall’ansia del successo e della competizione un drastico ridimensionamento, e di fatto è ormai considerato secondario. Autore di numerosi saggi specifici come Essere uomini e La questione maschile, Risé è particolarmente noto per Il maschio selvatico, il libro che ha dedicato a una figura simbolica da lui definita “archetipo della relazione con la natura primordiale e col suo sapere e potere”. Lo psicoanalista triestino denuncia con forza la crisi della figura paterna: il padre, fa notare in un’intervista al quotidiano Avvenire (18 marzo 1998), è “indebolito da un sistema che lo ha rapito alla famiglia per rinchiuderlo nel lavoro e nella carriera”.

Non a caso una recente ricerca, i cui risultati sono stati resi noti in occasione dell’ultima “festa del papà”, rivela che i padri italiani dedicano mediamente ai loro figli non più di quindici minuti al giorno. Il loro tempo è infatti assorbito dalle attività lavorative, per la famiglia non ne resta che pochissimo. Ne consegue dunque, parole ancora di Risé, che “il padre non fa più il suo mestiere di ponte tra i figli e la società. Inoltre non trasmette più ai figli maschi il sapere istintuale della cultura naturale maschile. Un compito iniziatico che nei secoli era stato sempre svolto dal padre o da una serie di figure maschili vicarie”. Come il maestro, o il padre spirituale, o l’istruttore di arti e mestieri: tutte figure in evidente declino nella società contemporanea. In definitiva, “tutto ciò che si riferisce al padre è stato colpito da un significato svalutativo: paternalista, patriarcale sono aggettivi dispregiativi che tendono a svalutare il mondo dei comportamenti paterni”.

La crociata di Risé ha ispirato i promotori di un movimento, che si è dato proprio il polemico nome di Maschi selvatici (www.maschiselvatici.it) e ha avviato uno sforzo di sensibilizzazione su questa tematica. Per esempio indirizzando agli organi d’informazione e alla classe politica un appello Per il padre che è stato sottoscritto da numerosi docenti, scienziati, giornalisti, professionisti, operatori dell’assistenza, genitori. Vi si denuncia che “la figura del padre è stata separata in Occidente dalle sue funzioni educative e sociali”, ciò che ha determinato alcune gravi conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti: insicurezza e difficoltà d’iniziativa nei figli, eclissi del principio d’autorità, solitudine e fatica nelle donne madri lasciate sole con l’onere dei figli, frustrazioni maschili. In nome di una società più equilibrata si chiedono dunque interventi correttivi per un rilancio del ruolo: per esempio assicurando aiuti e riconoscimenti al padre che sia disposto ad assumersi l’onere di un figlio concepito, cui la madre intenda rinunciare ricorrendo all’aborto.

Ha suscitato particolare scalpore, fra i ricercatori del padre perduto, il caso Boscherini. Ricordate? Parliamo dell’insegnante elementare di Santa Sofia praticamente costretto all’esilio professionale per avere scritto un libro, L’ultimo maestro, in cui criticava la “scuola al femminile”: si veda in questo sito Foglio Lapis, Anno IV, n. 2, aprile 2001 (la raccolta dei numeri arretrati del periodico si trova nell’Archivio delle nostre iniziative), oltre all’intervista dello stesso Boscherini in C’era una volta il maestro, raggiungibile dalla nostra pagina iniziale. Su questa vicenda Claudio Risé ha indirizzato recentemente una lettera aperta (www.virusilgiornaleonline.com) a Letizia Moratti. La responsabile governativa dell’istruzione dovrebbe, secondo lo psicoanalista, considerare attentamente le traversie dell’insegnante che ha pacatamente denunciato nel suo libro i guai e le lacune di una scuola stretta fra burocrazia e ipocrisia e per questo è stato “trasferito a forza, per l’ostilità delle colleghe, in una frazioncina di montagna a un’ora e mezzo di strada da casa sua”. Così si conclude la lettera di Risé: “Ministro Moratti, ecco un consulente su cui contare: è Maurizio Boscherini, l’<ultimo maestro>”.

                                                            r.f.l.

 

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