FOGLIO LAPIS - LUGLIO 2002

 
 

Come creare dalla coesistenza delle varie culture una società armoniosa, arricchita dal rispetto reciproco delle identità – Il ruolo essenziale della scuola, luogo di mediazione fra queste diversità – Una significativa esperienza in alcune classi di una elementare di Torino, in cui accanto ai compagni italiani siedono alunni provenienti da numerosi paesi stranieri

 

Uno degli obiettivi che si tenta di perseguire all’interno della società contemporanea è quello di trasformare l’attuale realtà storica della convivenza più o meno pacifica delle varie culture in un complesso armonioso che, nel rispetto reciproco delle identità, arricchisca la società stessa nel suo insieme. Il problema sostanziale alla base di questo obiettivo, però, sta proprio nei mezzi per raggiungerlo.

E’ un dato di fatto: viviamo in una società multiculturale, in cui la cultura si manifesta in molte forme, dove più culture coesistono; ma la cosa veramente importante riguarda non tanto l’accettare in modo più o meno positivo questa coesistenza, quanto il far entrare in relazione e confrontare queste diverse culture: in altre parole, è necessario avviarsi a ciò che viene chiamato interculturalità. Ma questo non è molto facile.

L’impegno ormai di tutti noi è intorno alla costruzione di una società solidale, pacifica e ricca di convivenza democratica: dobbiamo lavorare per realizzare una realtà interculturale. Abbiamo intorno tanti bambini di colore, di altre culture, asiatici, africani, dell’America Latina…che sono venuti nel nostro Paese, come in altre parti del mondo, perché spinti dal bisogno di sopravvivenza, dal desiderio di fuggire da una realtà ostile, per ricominciare, insieme alle loro famiglie, una vita più serena, per poter avere un futuro migliore. Dunque, è nostro dovere accoglierli pacificamente e garantire loro un’adeguata formazione, perché essi sono “gli uomini del domani”, e dobbiamo fare in modo che questi bambini siano nelle condizioni di avere tutti le stesse opportunità, senza discriminazioni di razza, religione, lingua…

Indubbiamente, un forte contributo per la loro formazione individuale viene dato dall'ambito scolastico. E’ a questo punto che gioca un ruolo importante l’insegnante, che nel rapporto con l’allievo deve costruire una buona relazione educativa. Infatti, la presenza di bambini immigrati nella scuola italiana, ad esempio, ha comportato per gli insegnanti la necessità di formare persone con difficoltà di comprensione della nostra lingua e cultura, la necessità di riconoscere l’identità diversa di questi nuovi alunni e allo stesso tempo di dare loro strumenti adatti per vivere nella nostra realtà. Ciò implica, nel lavoro con questi bambini, appunto, il confronto con la psicologia di chi viene da altri mondi e da altre storie, la necessità di possedere una varietà di abilità diverse nel costruire gli ambienti educativi e la consapevolezza di creare qualcosa che, in un certo senso, modifica la stessa comunità di cui si è parte.

Quindi, la scuola dev’essere il luogo della mediazione fra le differenti culture, e l’educazione interculturale si propone proprio di provvedere ad una facilitazione dei percorsi di inserimento e ad un adattamento delle strutture, con l’inserimento nei curricoli di momenti didattici che coinvolgano le culture e le lingue d’origine dei bambini. Questo, perciò, prevede un rilancio di valori come la pace, la solidarietà, il rifiuto del razzismo. Quindi, su ciò si può sviluppare una politica scolastica interculturale, caratterizzata dall’accoglienza e dalla facilitazione (come aiuto a superare le differenze di adattamento), dall’apertura agli altri, e dall’assunzione di una cittadinanza interculturale (come creazione di una mentalità interculturale).

Ciò significa che gli insegnanti non devono far sentire ai bambini stranieri la diversità come qualcosa da compensare, ma devono creare nella scuola un “clima” dove questi bambini si sentano partecipi di un mondo comune. Una buona educazione interculturale, quindi, si basa anzitutto su una metodologia dell’ascolto, in cui si pone attenzione alle domande d’accoglienza, alle storie di vita e, infine, a se stessi in quanto educatori che s’interrogano sulla propria esperienza. Inoltre, secondo quanto sostiene il pedagogista Duccio Demetrio, è utile seguire le narrazioni dei bambini, perché ciò permette di comprendere la loro evoluzione interna, anche il modo in cui ciascuno “mette insieme se stesso” di fronte ai cambiamenti che lo riguardano.

Ebbene, la nostra classe (3C, sezione Liceo socio-psico-pedagogico dell’I.I.S. “Albert Einstein”) ha realizzato con l’ausilio dell’insegnante di pedagogia, la professoressa Marica Biglieri, un progetto volto proprio a far riflettere sull’importanza dell’educazione interculturale e, nello stesso tempo, dato il nostro indirizzo di studi, anche a svolgere una prima “breve esperienza” nell’ambito dell’insegnamento, e questo perché abbiamo avuto l’opportunità di lavorare con tre classi della scuola elementare “C. Abba” (1B, 5A e 5B). Per rendere più completa la nostra esperienza abbiamo anche costruito delle semplici griglie di osservazione delle dinamiche relazionali nella classe. Gli scopi perseguiti per realizzare questo progetto, infatti, consistevano nel lavorare concretamente ed in modo organizzato e non dispersivo al fine di spiegare a dei bambini, appunto, perché oggi si parla sempre più spesso di “società a colori”, tutto ciò creando un’atmosfera armoniosa.

Ci siamo quindi suddivisi in 3 gruppi (ciascuno dei quali seguiva una classe). I ragazzi che hanno lavorato nella classe prima hanno però seguito un percorso diverso da quello utilizzato per le quinte,  solo per una questione relativa all’età dei bambini. Durante il primo incontro, infatti, c’è stata una presentazione piuttosto giocosa, le ragazze che hanno seguito questi bambini hanno preparato delle targhette colorate con scritti i loro nomi, e ne hanno preparate anche delle altre su cui scrivere i nomi dei bambini. E’ chiaro che l’esposizione teorica dell’argomento che si sarebbe trattato è stata ridotta al minimo, ed è avvenuta in forma estremamente semplificata.

Con la classe prima ci si è dedicati molto al disegno, che è  stato utilizzato anche come mezzo conoscitivo, infatti abbiamo preparato dei cartelloni attinenti proprio al tema della multiculturalità, e con i disegni avuti dai bambini, invece, si è cercato di capire il loro grado di conoscenza dell'argomento, e anche, in parte, la loro forma di pensiero, la loro creatività. Con le quinte si è seguito un programma analogo, ma un po' più imegnativo. Durante il primo incontro, subito dopo la presentazione, abbiamo distribuito un questionario a domande chiuse di 14 domande, dicendo solo di che cosa trattava, ovvero che era inerente alla tematica multi - interculturale che avremmo trattato insieme per la durata di 5 incontri, e precisando che con questo test volevamo cercare di capire qual era il loro atteggiamento nei confronti di coloro che provengono da realtà diverse dalla nostra. Dopo averlo compilato, i bambini lo hanno consegnato e si sono commentate alcune risposte.

Fatto questo, (avendo così un po’ testato il loro grado di conoscenza sull’argomento) abbiamo avviato quella che è stata l’esposizione teorica, fornendo una prima definizione di MULTICULTURA e INTERCULTURA. Da qui il discorso si è ampliato sino ad arrivare a toccare il tema del razzismo, fenomeno che nasce quando nei confronti di un dato gruppo non si tollerano certe diversità e si maturano forme di distanza sociale, di emarginazione. Ecco che sono quindi stati citati i nomi di due fra i più conosciuti personaggi della storia, Hitler e Mussolini, oggetto del loro programma di storia.

Ci è parso poi opportuno parlare anche della “diversità”, riportando alcuni esempi, intesa come diversità di genere, etnia, religione, o ancora intesa come diversità causata da qualche forma di handicap. I bambini hanno seguito con interesse e partecipazione la nostra spiegazione, interagendo con noi e intervenendo quando era opportuno farlo, e questo ha dimostrato che siamo stati in grado di non farli annoiare, malgrado stessimo tenendo una sorta di “lezione”.

Per l’incontro successivo abbiamo chiesto loro di scrivere alcune riflessioni a proposito dell’esperienza che stavamo svolgendo insieme, le loro impressioni circa quanto era stato detto in classe ed il loro pensiero circa la questione della intercultura, e di preparare un disegno che potesse rappresentare l’argomento trattato. Tutto questo materiale è stato successivamente da noi raccolto, letto e selezionato.

Nel secondo incontro si è avviata la preparazione del questionario da presentare ai bambini della scuola di provenienza straniera (Costa d’Avorio, Cina, Marocco, Romania). Le domande formulate erano mirate a conoscere alcun aspetti, come il funzionamento delle scuole e la loro organizzazione, le abitudini tipiche, i giochi più comuni, i piatti più caratteristici, e anche la struttura delle abitazioni, il modo di festeggiare ad esempio il Natale, la Pasqua, di queste culture lontane dalla nostra. Dunque, la volta seguente, è stata realizzata l’intervista, con tanto di telecamera. I bambini erano entusiasti e non vedevano l’ora di cominciare. Prima però abbiamo detto loro che era importante far sentire a proprio agio chi ci parlava “della sua realtà”, e che l’intervista non doveva seguire passo passo le domande del questionario, ma doveva avvenire in modo spontaneo e informale, quasi in maniera discorsiva.

Ebbene, la classe prima ha “intervistato” un bambino marocchino di 6 anni, Yahya. Inizialmente erano tutti talmente imbarazzati dalla telecamera che si sono bloccati. Poi, però, pian piano hanno iniziato a fare domande e l’imbarazzo è passato. Una delle due quinte non è riuscita a realizzare la prima intervista, perché la piccola intervistata  all’improvviso è scoppiata a piangere mentre ci raccontava che quando andava a scuola, in Costa d’Avorio, la sua maestra era molto severa e la picchiava, quindi ci è sembrato opportuno non proseguire e rimandare tutto alla volta seguente, nella quale l’intervista è avvenuta con un bambino marocchino, Abderrazzar, di 10 anni e con una bambina cinese, Liru, di un anno più piccola.

Tra il quarto e il quinto e ultimo incontro i bambini di tutte e 3 le classi hanno proceduto alla stesura di un “racconto a più mani”. Ciò che dovevano fare era realizzare una storia su un mondo fantastico lontano e diverso dal nostro. Racconto a più mani perché ciascun bambino poteva proseguirlo come desiderava. L’inizio è stato loro dato e su questa base ognuno doveva andare avanti con la stessa storia scrivendone un pezzetto, che seguisse ovviamente un filo logico con ciò che era già stato prodotto.

Ecco che così, con la raccolta di tutto il materiale (quale interviste, poesie inventate e non, disegni, impressioni dei bambini e racconti), abbiamo terminato il nostro progetto con la scuola “C. Abba”. In un'ottica di collaborazione tra scuole di ordini e gradi diversi collegate in un percorso di continuità formativa degli alunni, ci siamo avvalsi del contributo della Scuola Media di via Santhià (ex Pergolesi), che ha avviato un progetto parallelo al nostro effettuando delle interviste agli allievi stranieri presenti nella scuola; alcune di queste interviste sono state inserite in questo lavoro, constatando anche la somiglianza delle risposte fornite dai piccoli intervistati. Al lavoro è stato dato il nome di “Un mondo a colori” ed è stato riportato su un CD-Rom multimediale.

                                Cecilia Puca

Ulteriori dettagli nel sito http://web.tiscali.it/multicultura

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