FOGLIO LAPIS - GIUGNO - 2020

 

In Francia ci s'interroga sul domani del sistema educativo, dopo che la traumatica esperienza del coronavirus ha imposto una riflessione che è utile non limitare alle necessità dell'emergenza. Ma intanto proprio l'emergenza preme: Parigi può riaprire tutte le scuole ma non accogliere tutti gli alunni

 

La progressiva riapertura degli istituti scolastici, si legge sul quotidiano Le Monde, accelera la riflessione per pensare alla scuola del futuro. Si ricorda fra l'altro che fin da un secolo fa il governo francese ha adottato misure di contenimento nell'occasione di crisi epidemiche o pandemiche. Più volte nel corso dell'ultimo secolo si sono decise sospensioni parziali dell'attività didattica per fronteggiare emergenze sanitarie localizzate. É accaduto nel 1918-19 quando in tutto il mondo imperversava la spagnola, nel 1957 in occasione dell'asiatica, nel 1968-69 di fronte all'influenza di Hongkong e infine nel 2009 quando toccò all'influenza A di tenere in apprensione il paese, Ma fino al marzo di questo disgraziato 2020 non si è mai parlato di chiusura generalizzata del sistema educativo. Non solo: sette anni or sono, quando si discuteva su un nuovo piano anti-pandemia, l'allora ministra della salute, Marisol Touraine, dichiarò che una simile misura è difficilmente immaginabile, perché provocherebbe uni choc nell'opinione pubblica.

Bene, il coronavirus ha imposto l'adozione della misura inimmaginabile, con relativo choc sui cittadini. E ora che finalmente si provvede a un graduale ritorno alla normalità, gli addetti ai lavori cercano di cogliere il solo aspetto positivo di questa drammatica esperienza: la possibilità di riflettere sulla connotazione della scuola del futuro. Per esempio ridefinendo e rivalutando la figura del docente, restituendogli quel ruolo nella società che un tempo lontano lo contraddistingueva, e che si è successivamente perduto nei vortici di una modernità non sempre attenta ai valori di fondo. D'altra parte non tutti concordano su potere rigenerativo dell'emergenza. Affermando come fanno molti che “nulla sarà più come prima” si commette un errore di valutazione secondo Philippe Watrelot, uno specialista di scienze economiche e sociali molto attento alle questioni pedagogiche: infatti si sottovaluta la resilienza dei sistemi e la loro capacità di riprendere più o meno rapidamente la forma originaria.

Ma è proprio questa forma originaria che molti esperti di meccanismi educativi intendono correggere facendo tesoro dell'esperienza accumulata durante il confinamento. Per esempio relativizzando il ruolo delle tecnologie informatiche nella scuola. É vero, hanno offerto un valido supporto nelle lunghe settimane delle aule sbarrate. Ma hanno anche segnalato i loro limiti, a cominciare dall'impossibilità di ovviare alla mancanza di un rapporto personale fra docente e allievo. Perché la scuola è insieme una relazione e un accompagnamento, e non può ridursi a un impersonale dialogo con il computer. Si impara attraverso un rapporto diretto non soltanto con l'insegnante ma anche con i compagni, e con la cooperazione, il confronto delle idee, il superamento degli ostacoli. In questo quadro, lo strumento informatico è appunto uno strumento, che facilita il lavoro del docente ma non potrà mai sostituirlo. Così come non possono prenderne il posto i genitori, anche se non va sottovalutata l'importanza di uno stretto legame fra la famiglia e la scuola.

Mentre il sistema è alle prese con la necessità di conciliare sicurezza sanitaria e efficienza didattica (possiamo riaprire il cento per cento delle scuole, si dice a Parigi, ma non ospitare il cento per cemto deigli alunni), molti addetti ai lavori concordano sul fatto che l'emergenza epidemiologica, se da un lato ha messo in crisi quel principio, “la scuola per tutti” che è fra i più caratteristici della modernità educativa, ha decretato dall'altro la fine di un altro tabù del nostro tempo, la scuola a tempo pieno. Annunciando la stagione di un'esperienza educativa basata non più sulla platea della classe tradizionale, ma sull'avvicendamento in aula di piccoli gruppi.

 

                                                                      r. f. l.

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