FOGLIO LAPIS - GIUGNO - 2015

 
 

Il lamento di un insegnante di storia: la nostra funzione dovrebbe essere quella di insegnare, non di concentrare tempo e attenzione sulla preparazione degli esami standardizzati – Di fatto, sempre più studenti rifiutano di sottoporsi ai test, mentre le autorità scolastiche ricordano che proprio quel sistema permette di raccogliere dati necessari per il superamento del divario di rendimento, specchio fedele della diversità economica e sociale delle famiglie

 

Un sistema invadente, che sottrae tempo alla didattica e impedisce una dinamica flessibile e creativa dell'insegnamento. Questo il giudizio che molti insegnanti americani riservano al sistema dei test standardizzati per misurare il rendimento scolastico. Matt Jablonski, che insegna storia degli Stati Uniti in una high school dell'Ohio, ha inviato alle autorità scolastiche dello stato una lettera-denuncia, invitandole a rivedere una pratica che appiattisce e banalizza la vicenda scolastica trasformandola in una sorta di gara a punti. Non crediate, avverte il docente, che mi sia deciso a questo passo per nascondere il fallimento del mio lavoro: al contrario, i miei allievi hanno ottenuto sempre ottimi punteggi nei test. Il fatto è che considero fortemente limitativo dover concentrare l'attenzione sulla preparazione ai test, trascurando inevitabilmente il vero e proprio insegnamento. In pratica le classi impiegano la maggior parte del tempo a disposizione, soprattutto nel secondo semestre dell'anno scolastico, nello sterile esercizio della preparazione ai test.

Il sistema degli esami standardizzati è stato introdotto con la finalità di garantire a tutti gli allievi la possibilità del successo, colmando il divario in termini di rendimento che le classifiche registrano fra i ragazzi provenienti da famiglie benestanti e quelli meno fortunati, da una parte dall'altra del classico crinale che negli Stati Uniti divide la società fra i cittadini wasp e gli appartenenti alle minoranze etniche. Lo scopo ultimo è appunto quello di colmare il divario, ma secondo Jablonski non solo non è stato raggiunto, ma l'unico risultato che ne è conseguito è stato la chiusura per scarso rendimento di scuole localizzate nei quartieri più disagiati. Poiché già in passato ci sono state critiche al sistema, che sono state affrontato aumentando ancora il carico dei test, il docente mette le mani avanti: non è questa la strada, quello che occorre è un taglio drastico.

Il comitato di consulenza appositamente convocato dai responsabili della politica educativa dell'Ohio ha preso molto sul serio la denuncia di Jablonski, e come riferisce il Washington Post si è impegnato a studiare a fondo la questione: dovremo determinare se il sistema vada mutato per il prossimo anno scolastico, e più in generale se l'attuale programma di esami assorba troppo tempo sacrificando quello destinato all'insegnamento attivo.

Di fatto sono sempre di più, come riferisce il New York Times, gli allievi che rifiutano si sottoporsi ai test con l'accordo dei genitori. Le resistenze si registrano soprattutto  nei distretti abitati dalla classe media. Anche se nessuna legge impone l'obbligatorietà di questa pratica i legislatori di molti stati stanno preparando norme che garantiscano esplicitamente il diritto di sottrarsi ai test. Altri, per esempio i rappresentanti di alcune organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti civili, invitano a considerare le finalità umanitarie del sistema: ricordate che la vostra decisione non riguarda soltanto vostro figlio, ma mette a rischio la vita scolastica di molti altri. C'è infine chi cerca la via del compromesso: un sistema di test meno invadente, più flessibile, che lasci alla didattica tutto il tempo che serve.

                                                          f. s. 
                                         

    


                                                  

 
 

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