FOGLIO LAPIS - GIUGNO - 2012

 
 

Il deciso rincaro delle tasse universitarie ha rapidamente determinato un calo delle immatricolazioni negli atenei – La misura è stata imposta da problemi di bilancio, ma evidentemente intacca uno degli obiettivi di una moderna politica educativa, il superamento delle diseguaglianze di classe, e di reddito, nell'accesso all'istruzione superiore – Per questo il dibattito divampa, a Londra e dintorni, assumendo inevitabilmente caratteri di scontro ideologico

 

I dati delle immatricolazioni parlano chiaro: da quando il governo conservatore di David Cameron, alle prese con quelle ristrettezze di bilancio che sono ormai comuni a tutti i paesi occidentali, ha bruscamente elevato le tasse universitarie, il numero dei nuovi studenti si è immediatamente ridotto. I costi per frequentare le università britanniche sono mediamente triplicati, raggiungendo la cifra davvero elevata di novemila sterline. Il numero delle immatricolazioni si è invece contratto del 7,7 per cento nell'insieme del Regno Unito. Il dato sale al dieci per cento per la sola Inghilterra, dove le famiglie degli studenti devono sobbarcarsi l'intero costo dell'istruzione superiore. Nel Galles e in Scozia, dove intervengono sostanzioni sussidi pubblici, il calo è nettamente più contenuto, appena il 2,7 e il 2,2 per cento rispettivamente. Il dato dell'Irlanda del Nord, dove l'aiuto pubblico è soltanto parziale, si colloca a un livello intermedio: meno 4,4 per cento.

Le autorità scolastiche britanniche evidentemente temevano non questo ridimensionamento relativamente contenuto, ma un vero e proprio crollo delle immatricolazioni, tanto che il ministro dell'educazione, David Willetts, sottolinea con evidente sollievo come l'università sia ancora considerata, nonostante i massicci rincari, un buon investimento per il futuro a lungo termine dei giovani britannici. Quanto al mondo accademico, commenta i dati delle immatricolazioni con accenti preoccupati. Secondo Sally Hunt, che rappresenta l'unione delle università e dei colleges, quei dati non sorprendono, visto che il governo di Londra ha reso il sistema universitario britannico “il più caro del mondo”. Eppure, insiste, “se vogliamo competere con le altre economie e produrre personale di alta qualificazione, semplicemente non possiamo permetterci un sistema che caccia la gente via dall'università”.

Il dibattito ovviamente si arroventa e investe l'antica questione sociale, cara alla storia della Gran Bretagna. Nel mirino della critica c'è un governo assillato dalle necessità di bilancio, che sembra avere rinunciato a superare le disuguaglianze di classe e di reddito, al sacrosanto obiettivo di permettere a tutti i giovani, indipendentemente dal reddito familiare, l'accesso all'istruzione superiore. Si parla di “barriere finanziarie punitive”, tutt'altro che incoraggianti per fare strada ai migliori, che non escono necessariamente dalle sole famiglie in grado di sborsare simili somme. Sally Hunt pone in discussione le priorità della maggioranza conservatrice: “Davvero il governo vuole il ritorno a un'epoca in cui ciò che contava per il successo non era la competenza, ma il denaro?”

Un capitolo polemico supplementare riguarda la vocazione internazionale delle università britanniche: si teme infatti che le nuove tasse finiscano con lo scoraggiare l'afflusso, fin qui tradizionalmente copioso, di studenti stranieri

                                                          l. v. 
                                         

    


                                                  

 
 

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