FOGLIO LAPIS - GIUGNO - 2011

 
 

“Togliamo il disturbo”: è il titolo di uno stimolante saggio pubblicato da Guanda – Lo ha scritto Paola Mastrocola, insegnante di Lettere in un liceo scientifico di Torino – Il tema che vi si propone è apparentemente provocatorio: la “libertà di non studiare”, come recita il sottotitolo – Forte della sua personale esperienza, l’autrice prende le mosse da alcune sconsolanti realtà per arrivare a proporre un sistema scolastico nuovo, che corrisponda alle aspettative e agli stili di vita

 

Il libro prende le mosse da alcune considerazioni. Prima di tutte il progressivo disinteresse degli studenti e delle famiglie nei confronti della scuola, disinteresse favorito dalla struttura stessa della scuola e da retaggi più o meno politici e organizzativi del passato. Un tempo, la scuola era appannaggio delle classi sociali più elevate per cui si tendeva a perpetuare la sperequazione sociale per cui chi era ricco aveva maggiori opportunità nella vita, legate alla possibilità di studiare, e chi era povero era destinato a rimanere tale, salvo rare eccezioni. Alcune riforme hanno aperto la scuola a tutte le classi sociali, cercando di garantire una pari opportunità di partenza a tutti. Questa democratizzazione della scuola, se da un parte ha effettivamente  permesso un accesso da parte di tutti allo studio, ha anche determinato un calo qualitativo dell’insegnamento e dell’apprendimento, oltre ad una  caduta  valoriale della scuola nella mentalità delle famiglie. Per questo oggi abbiamo una situazione paradossale: tutti possono studiare ma solo pochissimi vogliono studiare.

La nostra società è cambiata profondamente e la tecnologia ha una sua responsabilità in questo cambiamento, avendo creato una sorta di cultura alternativa a quella che era appannaggio dello studio, inteso come attività caratterizzata dallo stare a tavolino leggendo e meditando i libri, cercando di penetrarli e di imparare ciò che contengono, in modo da farlo diventare un patrimonio personale. In questo cambiamento, la scuola come è concepita  oggi non trova più un mercato favorevole.  La richiesta di una scuola che offra studio di tipo classico è drasticamente caduta, per cui oggi registriamo un analfabetismo dilagante, inteso nella scarsa preparazione dei giovani che dovranno prendere in mano la nostra società.

L’Autrice si domanda se non è il caso che la vecchia scuola ed i vecchi insegnanti tolgano il disturbo, salvo lasciare un piccolo resto per quella sparuta minoranza che desidererà ancora studiare nell’accezione spiegata sopra. L’Autrice  ritiene che lo studio sia indispensabile ed assolutamente formativo e che un elettricista che ha studiato sarà più bravo di uno che non ha studiato. Se, però, nessuno, o quasi, vuole più studiare, dobbiamo prenderne atto e modificare i sistemi ed i percorsi scolastici al fine di non scontentare tutti come accade ora: coloro che vorrebbero studiare lo possono fare, e non sempre, solo con enormi difficoltà;  coloro che non vogliono studiare si trovano costretti in una scuola nella quale non si riconoscono e che mal sopportano, appoggiati dalle famiglie che, fra l’altro, non concepiscono voti negativi per i  propri figli, ascrivendoli alla cattiva professionalità degli insegnanti, questo per dare un'idea dell'aria che tira nelle famiglie.

Se gli studenti non studiano non è colpa degli insegnanti o della scuola ma degli stili di vita che essi hanno e che sono incompatibili con una scuola dello studio. La cultura dominante oggi è quella dei media, del cellulare, dei sistemi di comunicazione, di facebook e simili, insomma di internet. Anche se l’Autrice rileva che chi frequenta queste nuove "agenzie culturali" lo fa nella assoluta ignoranza, dal momento che, in sostanza, mangiano un cibo precotto e predisposto per loro che si adattano senza avere idea della tecnologia che sostiene questi nuovi riferimenti culturali. Insomma, anche se su internet si può trovare tutto, per esempio un Hotel a Timbuctù, il problema è che nessuno sa più dov’è Timbuctù, ne’ cosa avviene nella realtà quando si “clicca” quel sito piuttosto che quell’altro. Su internet si può trovare tutto e questo ingenera la convinzione  di poter sapere tutto, ma nella realtà non si sa proprio nulla.

Quindi il problema della scuola non è legato alla scarsa professionalità degli insegnanti o alle strutture scolastiche inadeguate sia architettonicamente che quanto a contenuti ed offerte, ma agli stili nuovi di vita dei giovani ma anche dei loro genitori, dove lo studio non ha più un suo spazio e non vede più riconosciuta la sua dignità come un tempo.

Alla fine della sua disamina che abbiamo succintamente riportato, l’Autrice propone tre tipi di scuola:

1) Work school, scuola del lavoro pratico, manuale, artigianale o tecnico-operativo, per chi vuole subito imparare un mestiere.

2) Communication-school, la scuola della comunicazione, della rete, delle relazioni, dei linguaggi multimediali, per chi vuole studiare cose subito utili, ed in uno stile visivo-esperienziale.

3) Knowledge-school, la scuola dello studio astratto, della speculazione teoretica; per chi vuole studiare in modo ricostruttivo simbolico.

In questa maniera ognuno potrà scegliere la sua scuola in base al proprio progetto di vita nonché agli stili di vita non solo suoi ma della famiglia di origine. Quest’ultima dovrebbe capire in quale contesto è cresciuto il figlio e quindi intuire a quale delle tre scuole poterlo iscrivere in maniera da rispettare le aspettative e le attitudini del ragazzo. L’Autrice riconosce che non è un compito facile per le famiglie, scegliere per i figli. Del resto (commento personale) le famiglie hanno sempre scelto per i figli, al massimo si può dire che alcune famiglie hanno scelto e che molti figli hanno, a loro volta, scelto in base alla scelta degli amici (leggi delle loro famiglie). Insomma, la scuola dovrebbe essere un tempo ed un luogo nel quale il giovane si forma in  base alle proprie attitudini, a quelle alle quali è stato abituato, ma sopra tutto dove non ci sia sofferenza per proposte che esulano assolutamente dall’area dei suoi interessi. Il problema è legato alla mentalità secondo la quale una persona si qualifica più per il titolo di studio che per le sue reali capacità: meglio un ingegnere laureatosi a 35 anni e che non sa fare una cuccia di cane piuttosto che un ottimo meccanico.

Personalmente ho letto il libro con grande piacere, ne ho condiviso il contenuto, mi aspettavo citazioni dal saggio di Roger Scruton “La cultura conta”, libro che consiglierei (con molta modestia) all’Autrice, ove non l’avesse letto. Infine, le molto frequenti citazioni di articoli di un quotidiano, alle volta spingerebbero a pensare che questo sia stato un riferimento fondamentale per l’Autrice, quando invece l’origine e la sostanza del libro scaturiscono dalla sua personale esperienza che, a mio avviso, non necessitava dei tanti supporti altrui utilizzati. Ho comperato il libro, l’ho regalato e l’ho consigliato. Ringrazio la Prof.ssa Mastrocola di aver detto che il re è nudo, nella speranza che tutti se ne accorgano e lo rivestano adeguatamente.

                                                          Alessandro Papini 
                                         

    


                                                  

 
 

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