FOGLIO LAPIS - GIUGNO - 2011

 
 

Fra le celebrazioni dell’unità nazionale un convegno presso l’Università di Ferrara sul tema “La scuola nell’Italia unita: quale eredità? Un bilancio 150 anni dopo” – Specialisti italiani e stranieri si sono interrogati sui molti nodi del nostro sistema educativo – Che, a ben vedere, educativo non è mai stato, nel senso che il suo basso profilo e la sua marginalità istituzionale ne hanno sempre eluso la finalità essenziale, favorire la scoperta e l’uso della razionalità

 

In principio, fatta l’Italia, ci si pose il problema di “fare gli italiani”. Lo si affidò alla scuola (oltre che all’esercito, che però si curava esclusivamente della metà maschile, per di più ormai adulta, dell’universo nazionale), visto che l’unità permetteva d’investire in un organico sistema scolastico che la precedente frammentazione del paese rendeva impossibile. Ma quel progetto, “fare gli italiani”, per quanto importante era riduttivo rispetto alle finalità potenziali di una scuola moderna. Si partì dunque col piede sbagliato, e nei successivi sviluppi non sarà certo il fascismo, nonostante l’impegno pedagogico di Giovanni Gentile, a migliorare la situazione. Certo, si fecero la scuola elementare di cinque anni, le scuole speciali, l’istituto magistrale: ma nell’insieme il sistema restò del tutto inadeguato: nessun reale sforzo educativo, solo la meccanica trasmissione di nozioni, di fatti non interpretati. Nozioni, non idee; e quel vizio è rimasto. Il peccato originale di quella che il pedagogista Giovanni Genovesi chiama significativamente schola infelix, compromette ancora oggi, dopo tanti tentativi di riforma più o meno radicale, il nostro sistema dell’istruzione.

Di queste cose si è parlato lo scorso marzo, in esatta corrispondenza con il centocinquantesimo compleanno dell’Italia unita, presso l’Università di Ferrara, in un convegno al quale hanno partecipato ricercatori provenienti dal mondo accademico italiano e non soltanto italiano. “La scuola nell’Italia unita: quale eredità? Un bilancio 150 anni dopo”: questo il tema che proprio Genovesi (docente di Pedagogia generale a Ferrara dove dirige la SPES, Società di politica, educazione e storia, e il Laboratorio di teoria e storia della scuola) ha introdotto sottolineando sia l’essenzialità del rapporto nazione-scuola, sia il carattere della scuola come “spia macroscopica delle vicende nazionali”. Si sono affrontati aspetti così disparati come l’utopia educativa di Mazzini, il ruolo di opere come quelle di Stoppani, De Amicis, Collodi, la proiezione all’estero dell’immagine dell’Italia, la riflessione scolastica del processo unitario e così via.

A delineare la vicenda dell’istruzione nel primo secolo e mezzo dell’unità nazionale è stato lo stesso Genovesi, che è autore di una Storia della scuola in Italia dal Settecento a oggi, Laterza, 2010. La premessa è una sconfortante presa d’atto: chi organizza il sistema scolastico generalmente ne ignora fini e funzioni. Non soltanto in Italia, ovviamente: ma in Italia questa lacuna è particolarmente evidente. Piuttosto che perseguire un ideale educativo, consistente nell’aiutare i soggetti a transitare dalla natura alla cultura, a usare la razionalità, a esaltare le potenzialità umane, si punta e si è sempre puntato su obiettivi molto più modesti: alfabetizzare, trasmettere nozioni, preparare al lavoro. La meta non è mai stata un popolo di teste pensanti, ma di cittadini disciplinati. Genovesi smentisce Pasquale Villari, che addebitò il disastro militare del 1866 all’analfabetismo allora dilagante nel paese: in realtà la colpa fu di una élite alfabetizzata, ma proveniente da scuole “educativamente inefficienti”.

La schola infelix, appunto: e non ha certo raggiunto una condizione accettabile con le molte riforme successive alla Legge Casati, che ne aveva gettato le basi due anni prima dell’unità nazionale. La nostra è rimasta una scuola che non fa cultura, un sistema meramente funzionale che manca persino i suoi modesti obiettivi. Rimane dunque un miraggio quella scuola veramente autonoma, veramente laica, che pure le scienze dell’educazione ci offrono su un piatto d’argento. Quella istituzione che per realizzare l’ideale educativo deve sciogliere innanzitutto il nodo della formazione docente. Auguriamoci almeno che non serva un altro secolo e mezzo, perché la scuola italiana esca da questa condizione di marginalità, sia riconosciuta come espressione della ricerca scientifica, si liberi finalmente della sua infelicità, sia l’effetto e la causa di un’Italia davvero evoluta.

                                                          a. v. 
                                         

    


                                                  

 
 

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