FOGLIO LAPIS - GIUGNO 2005

 
 

Due testi a confronto in Gran Bretagna: da una parte i tradizionalisti, appoggiati dal ministero dell’istruzione, che considerano l’homework parte essenziale dell’attività didattica, dall’altra gli innovatori che vorrebbero eliminare questo sforzo prolungato oltre l’orario delle lezioni – Alcuni parlano di stress, di ansia, di scomparsa del tempo libero, altri difendono la prassi come elemento che contribuisce a coinvolgere le famiglie nel lavoro scolastico

 

Sulla stampa britannica, che tradizionalmente dedica molto spazio all’attualità educativa, si dibatte da qualche tempo sul ruolo e sull’opportunità dei compiti a casa. Come si ricorderà il tema è da tempo in discussione anche in Italia, anche se con minor partecipazione da parte dei giornali, e il Foglio Lapis ha a suo tempo posto in discussione una prassi che anche da noi trova sempre meno sostenitori. Nel Regno Unito le due tesi contrapposte hanno entrambe fautori agguerriti. È didatticamente corretto questo supplemento di attività scolastica oltre l’orario delle lezioni? Alcuni ritengono di sì: un capo d’istituto, Roy Tedscoe, ha detto alla Bbc che l’homework è un elemento di raccordo fra scuola e famiglia, che favorisce il coinvolgimento dei genitori nello sforzo educativo dei figli. Gli fa eco una fonte ministeriale, che definisce i compiti a casa una componente essenziale di una buona istruzione.

Ma proprio i genitori non sono certamente tutti d’accordo. Molti di loro lamentano al contrario che il sovraccarico di lavoro provoca stress e ansia nei loro ragazzi, li priva di quasi tutto il loro tempo libero, li allontana da attività sportive e ricreative. Alcuni considerano il problema così grave da esserne stati indotti a cambiare casa, per spostarsi in distretti scolastici caratterizzati da una minor mole di compiti domestici. Questo punto di vista ha anche validi appigli fra gli addetti ai lavori, molti dei quali sottolineano che queste attività supplementari, impedendo ai ragazzi di riprendere fiato dopo la lunga giornata scolastica, minano di fatto proprio quella condizione psicofisica ideale che è la precondizione di una proficua esperienza educativa.

La questione dell’homework viene fatalmente a intrecciarsi con la dicotomia tipicamente britannica fra scuola pubblica e privata. Infatti mentre il sistema dell’istruzione statale è il più fedele alla tradizione dei compiti a casa, le scuole private si caratterizzano invece per un approccio più flessibile: supplemento di lavoro oltre l’orario soltanto in casi di particolare necessità. Molti istituti addirittura usano questo argomento nelle loro proposte pubblicitarie. Risultato: quasi i due terzi dei genitori, secondo un recente sondaggio, fanno sapere che trasferirebbero i loro figli nelle scuole private, se solo potessero permettersi di pagare le costose rette. E fra le cause principali di questa loro aspirazione indicano, fra l’altro, proprio l’onere del lavoro supplementare che la scuola pubblica infligge da sempre ai suoi alunni.

Fatto sta che nel Regno Unito l’idea di abolire i compiti a casa, nonostante il parere ministeriale, guadagna terreno. Molte scuole hanno deciso di eliminarli, o almeno di ridurli, e di riorganizzare il lavoro didattico in modo da svolgerlo interamente all’interno delle classi e degli orari delle lezioni. Si tratta di un “dinosauro obsoleto”, sostiene per esempio Patrick Hazlewood, preside di una scuola secondaria di Marlborough, nel Wiltshire. Per cominciare, Hazlewood ha deciso, d’intesa con i suoi insegnanti, di eliminare i compiti a casa per gli allievi del settimo anno (undici-dodicenni). L’obiettivo è quello di allargare progressivamente l’innovazione a tutte le classi, in ultima analisi, parole del preside di Marlborough, di “rendere la scuola meglio compatibile con la vita del ventunesimo secolo”. Hazlewood inserisce infatti la condanna dell’homework in una più vasta prospettiva, che prevede un’educazione non più qualitativamente nozionistica ma piuttosto orientata verso la qualità del saper pensare.

Anche fra i docenti sono sempre di più coloro che vorrebbero eliminare una prassi che comporta, fra l’altro, un maggior carico di lavoro anche per loro. E che soprattutto entra in contraddizione con l’asserita centralità della scuola nel percorso educativo. Fa infine capolino in Gran Bretagna un argomento che anche in Italia si è frequentemente intrecciato con il dibattito sui compiti a casa: questa consuetudine non fa che favorire il divario di opportunità che discende dalle differenze sociali. Infatti chi ha alle spalle una famiglia acculturata e una casa con libri, dizionari, enciclopedie, acquisisce, attraverso questa sorta di delega da parte della scuola, ulteriori vantaggi rispetto a chi invece deve fare i conti con genitori che non sono culturalmente in grado di aiutarli. Ricondurre tutto il discorso educativo all’interno della scuola viene dunque visto, fra l’altro, come un elemento di giustizia sociale.

 

 

                                      s.f.

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