Torna a Foglio Lapis - giugno 2001
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Sono circa ventimila gli studenti che si preparano all’ultimo esame di maturità magistrale – D’ora in avanti anche per insegnare alle elementari occorrerà la laurea – Una innovazione che integra il riordino dei cicli – Ma sono pochi finora, rispetto al fabbisogno, i giovani che scelgono i nuovi corsi universitari di scienza della formazione –L'assoluta necessità di rivalutare e rilanciare la professione

 

Stavolta è davvero finita, per la maestrina dalla penna rossa. Seppellito da un provvedimento del 1997, l’istituto magistrale conclude quest’anno il suo ultimo ciclo quadriennale. Ventimila studenti, anzi per la stragrande maggioranza studentesse, si preparano ad affrontare l’ultimo esame di maturità che abilita all’insegnamento elementare. E’ una prova senza appello: nel prossimo anno scolastico non esisterà più una scuola magistrale, dunque non sarà possibile ripetere l’ultimo anno. Chi dovesse mancare la promozione non avrà dunque altra scelta, se proprio vuole concorrere alla docenza nella scuola di base, che iscriversi all’università. Infatti a ogni livello d’istruzione, elementare compreso, dall’anno prossimo potranno essere accettati soltanto insegnanti laureati. Si può dunque dire, ricorrendo a un’immagine abusata, che con questo esame si chiude un’epoca.

Come sempre in questi casi il sentimento si mescola con la ragione, la nostalgia del passato con la necessità di guardare avanti. Nella sua lunga storia, la scuola magistrale italiana ha prodotto docenti spesso di alta qualità umana e professionale. Non sempre, naturalmente, i due connotati hanno coinciso nelle stesse persone: per esempio Mario Lodi, il celebre maestro di Piadena, ricorda in una intervista al Corriere della Sera una terribile insegnante che raggiungeva sì i suoi obiettivi, ma lo faceva picchiando i bambini con la riga sulle punte delle dita. Mezzi d’altri tempi che ormai nessuno, o quasi, se la sente più di giustificare rispetto ai fini.

Moltissimi italiani conservano del resto il tenero ricordo della maestra-madre, capace di assicurare una transizione indolore, o quasi, dalla famiglia alla scuola. Ma tutto questo non basta più, e nemmeno la semplice trasmissione meccanica del sapere: per gestire la formazione dei bambini di oggi, bersagliati dai messaggi multiformi della società mediatica, occorrono competenze aggiuntive. Che permettano non tanto di riempire di nozioni quelle teste, ma piuttosto di farle funzionare. Finora i maestri, o almeno i migliori fra loro, di quelle competenze aggiuntive sono dotati mettendo a frutto l’esperienza e l’aggiornamento: ma è chiaro che occorreva sistemare la materia fin dal processo formativo, e che questo non poteva che essere di livello superiore.

Purtroppo a questo adeguamento non si sono accompagnati finora quella rivalutazione e quel rilancio della professione docente che appaiono altrettanto necessari. Si parla qui di trattamento economico e di prestigio sociale, due facce ugualmente importanti della stessa medaglia. Fra i grandi numeri della scuola di base, circa 250 mila maestri attualmente in servizio, poco meno di uno ogni dieci dei due milioni e 600 mila alunni delle prime cinque classi, ce ne sono alcuni che non quadrano. E sono proprio quelli che si riferiscono ai futuri maestri-dottori. Gli iscritti alle prove di ammissione ai corsi di laurea in scienze della formazione sono stati quest’anno circa quattromila: appena la metà rispetto al fabbisogno.

Una volta ancora occorre sottolineare che si parla quasi esclusivamente di donne, e che il rilancio della professione docente implica una sua maggiore appetibilità nei confronti della componente maschile. Quei quattromila studenti che mancano all’appello sono proprio loro, i ragazzi abituati ormai a considerare l’insegnamento primario una faccenda tipicamente femminile. E’ necessario che questa percezione cambi, e certamente il passaggio dal maestro diplomato al laureato potrà di per se’, unito agli indispensabili adeguamenti contrattuali, favorire il cambiamento. E far considerare la cattedra nella scuola di base uno sbocco professionale perfettamente accettabile anche da parte maschile. Lo stesso riordino dei cicli, di cui la nuova figura del maestro laureato rappresenta un’integrazione, dovrebbe agire in questo senso, eliminando o almeno sfumando l’antica distinzione fra insegnante elementare e professore di scuola media.

La fine delle magistrali ha intanto prodotto la loro trasformazione in nuovi istituti, che hanno assunto la denominazione di liceo pedagogico, o socio-psico-pedagogico, o linguistico. Anche questa è una materia che andrà sistemata, ma due punti sono già stati fissati una volta per tutte dalla norma del 1997: si tratta di corsi quinquennali e in ogni caso la loro frequenza non sarà sufficiente per l’abilitazione all’insegnamento. E’ presumibile che verranno scelti in particolare da chi vorrà appunto salire in cattedra, e quindi considererà i nuovi istituti come propedeutici ai corsi universitari di scienze della formazione.

Avremo dunque nei prossimi anni una progressiva coesistenza, anche nelle prime classi della scuola di base, di maestri laureati e diplomati, con una presenza crescente dei primi rispetto ai secondi, che fra pochi decenni saranno una specie in via di estinzione. Sarà interessante, prima di allora, vederli lavorare fianco a fianco: da una parte la forza dell’esperienza e della tradizione, dall’altra i frutti della nuova formazione universitaria. Gli uni e gli altri certamente stimolati dal confronto, che ovviamente ci si augura improntato al rispetto reciproco.

 

                                                                                                                                r.f.l.

FOGLIO LAPIS - GIUGNO 2001