Torna a Foglio Lapis - giugno 2001
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Un’indagine del Cede sui ragazzi alla visita di leva – Ribadite le conclusioni di un analogo sondaggio condotto dalla Lapis in cooperazione con l’autorità militare – Nove diciottenni su dieci non sanno compilare un bollettino postale, la metà ignora il significato di espressioni come “rimunerativo” o “a domicilio” – Sono i risultati di una scuola che alcuni si ostinano a non voler cambiare
 

Ragazzi quasi incapaci di leggere e di scrivere, mandati allo sbaraglio con un lessico rudimentale che li fa indifesi di fronte a ogni scommessa esistenziale. Una volta ancora il quadro desolante di un semianalfabetismo diffusissimo fra i giovani italiani è stato confermato da un’indagine scientifica. L’ha condotta il Cede, l’istituto nazionale di valutazione del sistema scolastico, su un campione di 650 fra i nati nel 1982 che nel 2000 si sono presentati alla visita di leva. I risultati sono davvero sconfortanti: in particolare vengono confermati gli alti livelli, ben superiori a quelli ufficiali, di abbandono della scuola e di lavoro precoce. Un quinto del campione ha infatti cominciato a lavorare prima dei quindici anni: il due per cento ha addirittura iniziato il lavoro fra i sei e i dieci anni, cioè durante le elementari, il quattro per cento fra gli undici e i tredici. Sono cifre indegne di quella che pure altri indicatori designano come una democrazia avanzata, cifre rivelatrici di una crisi della scuola che solo una radicale riforma potrebbe avviare a soluzione.

Questo sondaggio “sulle competenze alfabetiche della popolazione a 18 anni” richiama l’indagine conoscitiva sul grado d’istruzione dei giovani di leva che nel 1999 fu condotta dalla Lapis, d’intesa con il Comando della Regione militare Sud, su un campione quantitativamente superiore a quello preso in esame dal Cede, 3368 ragazzi, ma concentrato in tre province meridionali: Napoli, Bari, Catanzaro. In quei territori il campione dei ragazzi alla visita di leva coincideva praticamente con l’universo statistico dei diciottenni di sesso maschile. La pubblicazione di quei dati, elaborati dal Centro di sperimentazione e ricerca sull’immaginario di Torino, ebbe l’effetto di un sasso nello stagno e fu accolta da incredulità e polemiche. Troppo infatti si discostavano dalle rassicuranti statistiche ufficiali. Era emerso dall’indagine che un ragazzo su nove non aveva completato la scuola dell’obbligo, che uno su dodici non era andato oltre le elementari, che uno su quindici aveva addirittura mollato gli studi prima della quinta elementare. Che quattro su dieci non avevano contratto, né in famiglia né a scuola, quel fondamentale comportamento civile che è l’abitudine alla lettura.

Ebbene, la nuova indagine conferma nella sostanza il quadro tratteggiato in quella occasione, e implicitamente la scarsa attendibilità delle cifre ufficiali. E’ chiaro che questa inattendibilità, nel caso per esempio degli inadempimenti rispetto all’obbligo scolastico, è connessa con il fatto che la registrazione scatta soltanto in  caso di intervento attivo, come la denuncia o altro provvedimento pubblico. Ma la maggior parte di coloro che abbandonano la scuola prima del dovuto lo fanno inosservati e indisturbati, senza che sul loro caso vengano aperte procedure di intervento. L’evasore tipo evade senza che qualcuno si interessi di lui, senza che arrivino i carabinieri per riportarlo in classe. Lo fa con l’acquiescenza, a volte con l’incoraggiamento, della famiglia e nell’inerzia della scuola che lo perde per strada. Poi ecco il giorno della visita di leva, un intervistatore gli chiede notizie della sua esperienza scolastica, e la verità viene finalmente a galla sorprendendo soltanto chi si affida pigramente alle formali verità burocratiche.

I ricercatori del Cede hanno sottoposto i ragazzi alla lettura di alcuni testi, mettendo in luce straordinarie lacune alfabetiche e lessicali. Circa la metà degli intervistati non sa che cosa voglia dire l’aggettivo “rimunerativo”, per quasi i due terzi buio fitto a proposito di un’espressione di uso comune come “a domicilio”. Invitati a leggere un breve articolo di giornale su un tema eminentemente pratico come il commercio di automobili, circa la metà di quei ragazzi non ha capito quasi niente. Impegnati nella compilazione di un bollettino di versamento in conto corrente postale, nove su dieci si sono fermati davanti a un ostacolo insormontabile, l’indicazione della causale di versamento: non per mancanza di fantasia ma più semplicemente perché non sapevano che cosa mai significasse la parola “causale”. Roba che si mangia?, deve essersi chiesto qualcuno di loro.

Si tratta di carenze tali, commenta Benedetto Vertecchi presidente del Cede e coordinatore dell’indagine, da pregiudicare irrimediabilmente il rapporto fra quei ragazzi e la società, in particolare il mondo del lavoro. Per parte sua Tullio De Mauro, ministro della Pubblica Istruzione nel governo uscente, sottolinea da un lato l’importanza decisiva di un’abitudine alla lettura dei giornali, che dunque la scuola dovrebbe promuovere, dall’altro il ruolo dei programmi territoriali di recupero educativo rivolti agli adulti, ai quali l’ultimo anno si sono iscritte più di mezzo milione di persone. Naturalmente meritoria questa battaglia contro i vari analfabetismi di ritorno: ma quello che colpisce nelle indagini sui diciottenni è che appunto si tratta di ragazzi, freschi reduci dall’esperienza scolastica, mentre siamo abituati a associare certe caratteristiche alle generazioni che li hanno preceduti, in particolare a coloro che furono bambini quando l’istruzione era davvero, soprattutto in certe parti del paese, una risorsa per pochi. Dobbiamo dunque rassegnarci a considerare che lo sia ancora?

Insomma, una volta di più una ricerca approfondita ci mette di fronte agli esiti disastrosi di una scuola che pure alcuni si ostinano a non voler riformare. C’è addirittura chi continua a definire la nostra istruzione elementare come la migliore del mondo, dal che deriverebbe l’assoluta inopportunità di sacrificarla sull’altare del riordino dei cicli. Certo nessuna riforma è perfetta e tutte sono perfettibili compresa questa, che la nuova maggioranza parlamentare si appresta a congelare in vista di una verifica e di una possibile revisione. Ma quello che non si capisce, di fronte a dati così eloquenti, è come non si sia comunque coagulato un consenso di fondo attorno all’esigenza di un cambiamento sulle cui linee si può e si deve discutere, ma che in ogni caso non può che essere profondo.Vogliamo davvero andare avanti così? Pare incredibile che tanti lo vogliano: come ci si possa arroccare in difesa di una scuola che produce simili tassi di semianalfabetismo, e una così endemica allergia alla lettura e alla scrittura, rimane un mistero affascinante quanto indecifrabile.

 

 

 

Alfredo Venturi

FOGLIO LAPIS - GIUGNO 2001