FOGLIO LAPIS - FEBBRAIO - 2016

 
 

Il governatore Andrew Cuomo mobilita risorse, provenienti in parte da denaro versato dal sistema bancario in seguito a condanne, per offrire istruzione agli ospiti delle carceri di Stato – L'iniziativa non ha solo carattere umanitario, si propone anche di ridurre il tasso di recidività – Gli Stati Uniti ospitano la più numerosa popolazione carceraria del mondo, una realtà legata anche alle privatizzazioni lanciate negli anni Ottanta

 

Le carceri non dovrebbero essere considerate un magazzino, dove si rinchiudono le persone per un certo numero di anni per poi reinserirle  nella società pretendendo che siano migliori”. Così Andrew Cuomo, governatore dello Stato di New York, che prosegue: “Bisogna puntare sulla riabilitazione dei carcerati, sull'aiuto alle persone”. E così il governatore ripropone una sua vecchia idea: corsi d'istruzione offerti ai detenuti, soprattutto giovani. Più precisamente: corsi integrati per un migliaio di carcerati nelle prigioni dello Stato, fra le quali le celebri strutture di Attica e Sing Sing, nei prossimi cinque anni. Quando il democratico Cuomo propose per la prima volta questa iniziativa, fu bloccato dall'opposizione dei conservatori repubblicani, che con lo slogan kids before cons, i bambini prima dei detenuti, trovarono sconveniente che si sottraessero risorse al sistema educativo per destinarle a gente che aveva conti in sospeso con la giustizia.

Ma stavolta il governatore è riuscito ad aggirare l'ostacolo. Il suo piano non prevede distrazione di risorse dalle normali scuole dello Stato: il denaro necessario per finanziare i corsi, la bella cifra di quindici milioni di dollari, proverrà per metà da contribuzioni private e per l'altra metà dai fondi raccolti dalla magistratura attraverso le pene pecuniarie che hanno colpito alcune banche internazionali condannate per aver violato sanzioni decretate dal governo degli Stati Uniti. Si tratta di un consistente flusso di denaro che finisce nelle casse della magistratura di New York a causa del fatto che proprio qui, nella capitale finanziaria degli Stati Uniti e non solo, si sviluppano questi procedimenti giudiziari. Di fatto, le risorse così accumulate hanno già alimentato numerose iniziative a supporto della legalità.

Ecco perché Cuomo si dice sicuro che stavolta il suo piano sarà approvato e realizzato. Esso obbedisce non soltanto a una motivazione umanitaria, il proposito di restituire alla detenzione l'originario carattere riabilitativo, allo stato attuale utopistico, ma anche a un'esigenza sociale, quella di ridimensionare la recidività, un fenomeno che nel sistema penale americano è fortemente diffuso. Molti giovani che finiscono in carcere per reati minori ne escono spesso con propositi criminali più gravi, forti fra l'altro della “formazione” ottenuta dai più esperti compagni di prigionia. Si tratta, argomenta Cuomo, di sostituire una istruzione vera e produttiva a questa sorta d'indottrinamento criminale. Di offrire a quei giovani uno strumento per il riscatto, di farli uscire dal carcere motivati a mettersi in regola nei loro rapporti con la società.

Gli Stati Uniti d'America hanno la più numerosa popolazione carceraria del mondo, sia in cifra assoluta, oltre due milioni di detenuti, sia relativamente alla popolazione, più di settecento ogni 100 mila abitanti. Come se in Italia avessimo oltre 420 mila detenuti, sette volte gli attuali ospiti delle nostre prigioni. Divisi fra carceri locali, di stato e federali, per circa un quinto i detenuti americani sono in attesa di giudizio. Ci sono poi altri cinque milioni di persone fra liberi su cauzione in attesa di processo, a piede libero sulla parola o agli arresti domiciliari. Negli anni Ottanta, durante la presidenza di Ronald Reagan, fu avviata la privatizzazione di parte del sistema carcerario: assieme al dilagare dei reati connessi con i traffici di droga, l'affiorare di un interesse privato alla detenzione ha influito sul sistema giudiziario contribuendo, a detta degli osservatori, all'aumento delle condanne a pene detentive.

                                                          l. v. 
                                         

    


                                                  

 
 

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