FOGLIO LAPIS - FEBBRAIO - 2016

 
 

Secondo uno studio dell'OCSE scaturito dalle rilevazioni triennali PISA sul rendimento scolastico, il rendimento medio dei sistemi educativi non risente  della crescente presenza di alunni provenienti da culture diverse – Tuttavia è un fatto che i risultati migliori si registrano dove la società, e di conseguenza la popolazione scolastica, è più compatta – Si tratta comunque di una sfida ineludibile: ecco le condizioni per affrontarla con successo

 

Da anni ormai l'OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) tiene sotto osservazione i sistemi scolastici dei Paesi membri. Lo fa attraverso le indagini PISA (acrostico inglese: programma per la valutazione internazionale degli studenti) che ogni tre anni analizzano e mettono a confronto le competenze linguistiche, matematiche e scientifiche dei ragazzi quindicenni. Sulla base dei risultati delle indagini condotte fra il 2003 e il 2012, l'OCSE ha pubblicato uno studio (Gli studenti immigrati a scuola – Favorire il percorso verso l'integrazione) che focalizza l'attenzione sull'influsso esercitato sui sistemi educativi dal massiccio fenomeno migratorio, caratteristico dei nostri tempi e destinato a durare, se non addirittura a crescere, negli anni venturi.

Ebbene, la conclusione dello studio è migliore di quello che ci si poteva aspettare: secondo Andreas Schleicher, il funzionario OCSE che ha coordinato l'operazione,  nonostante l'imponenza del fenomeno migratorio la statistica rivela che non ha prodotto conseguenze negative sui rendimenti scolastici medi, nemmeno nei Paesi caratterizzati da quote d'immigrazione particolarmente elevate. Inoltre lo studio fa emergere chiaramente quattro condizioni perché la sfida della scuola multietnica possa essere affrontata con successo. I risultati migliori si registrano quando i bambini immigrati frequentano la scuola fin dall'asilo, vengono inquadrati in classi normali, ricevono una preliminare formazione linguistica, hanno a che fare con docenti addestrati per insegnare a scolaresche assortite per provenienza etnica e culturale.

Purtroppo queste condizioni non sempre coesistono: spesso gli alunni stranieri arrivano in età superiore a quella dell'asilo, a volte non conoscono che poche parole nella lingua del Paese ospite, e i loro docenti non sono preparati specificamente per un compito così delicato. Del resto sappiamo bene che a guidare le classifiche derivanti dalle indagini PISA sono le scuole di quei Paesi nei quali da società relativamente compatte discendono scolaresche altrettanto compatte: è il caso della Corea, del Giappone, della Finlandia. Dunque non c'è dubbio che le classi multietniche rappresentino una sfida: il fatto che finora non abbiano influito negativamente sui rendimenti medi non può che incoraggiare chi è posto di fronte a una prospettiva decisamente multietnica e multiculturale e ha dunque il dovere di adattarvi la propria visione del mondo. Un dovere che purtroppo non è favorito dal clima attuale a proposito di accoglienza: di fronte ai flussi impetuosi che premono alle sue frontiere l'Europa è spaventata e tende al rifiuto. Né la partecipazione straniera alle attività criminali o episodi come l'aggressione alle donne la notte di Capodanno a Colonia sono fatti per calmare le acque.

C'è evidentemente, a  monte della questione scolastica, un problema più generale, l'esigenza di mettere ordine nel fenomeno migratorio, di gestirlo in modo da fargli perdere i connotati dell'emergenza, da incanalarlo verso una dimensione programmata. Perché in ogni caso è proprio questa la realtà destinata a connotare il  nostro futuro, bisogna farci i conti. Quanto alla scuola, non può che prepararsi alla sfida con l'arma dei quattro punti suggeriti dall'OCSE.

                                                          r. f. l. 
                                         

    


                                                  

 
 

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