FOGLIO LAPIS - FEBBRAIO - 2012

 
 

Bisogna trasformare la scuola, dice il sindaco della metropoli americana, da catena di montaggio a centro d'innovazione – Un istituto d'avanguardia nel cuore di Manhattan – Ancora una volta si punta sull'insegnamento individualizzato, e sulla scuola secondaria impostata come un campus – Si tratta non tanto d'impartire nozioni, quanto di permettere ai giovani il pensiero critico, che li renda adatti al futuro imprevedibile che li attende

 

La Laboratory School for Collaborative Studies si trova al numero 333 della Diciassettesima strada ovest, nel quartiere di Chelsea che si estende nel cuore di Manhattan. Si tratta di un istituto secondario, che dunque prepara i ragazzi per il college universitario. Non certo a torto la scuola di Chelsea si autodefinisce laboratorio, si tratta infatti di uno degli istituti all'avanguardia nella sperimentazione del cosiddetto progetto iZone: innovation Zone. Prendendo lo spunto dallo sconfortante verdetto delle comparazioni statistiche internazionali sul rendimento scolastico, che classifica il sistema educativo degli Stati Uniti al di sotto di molti altri Paesi, dalla Finlandia alla Corea del Sud, la metropoli americana intende studiare un modello nuovo di scuola, che sia tale da far recuperare alla scuola USA una posizione di punta. La Lab School è stata fra i primi dei centosessanta istituti che sperimentano il progetto iZone: entro i prossimi tre anni saranno quattrocento.

La sfida che ci sta di fronte”, dice Michael Bloomberg, sindaco di New York City, “è semplicemente la trasformazione delle nostre scuole da catene di montaggio a centri dell'innovazione”. E ancora: “Abbiamo perduto terreno con le scuole e lo stesso è accaduto con l'economia, anche in materia di educazione bisogna dunque recuperare il senso dell'iniziativa”. Si punta su un insegnamento il più possibile personalizzato, sul ripensamento della giornata scolastica, su come gestire al meglio l'apporto della tecnologia. Ma in realtà tutto è in discussione. Secondo Brooke Jackson, preside della Lab School della Diciassettesima strada, il problema principale degli istituti pubblici negli Stati Uniti è precisamente il fatto che generalmente non sono organizzati attorno alla necessità individuali degli studenti. Che sono quanto mai disparate: basti pensare alla molteplicità delle etnie e delle lingue d'origine che caratterizza il melting pot americano, e che a New York è in particolare evidenza.

Per questo l'approccio al problema dev'essere totalmente libero da pregiudizi. Il piano della preside Jackson prescinde dal quadro, consolidato dalla tradizione, di un calendario fisso delle lezioni, e persino delle classi divise per gruppi di età. É insensato, sostiene, tenere insieme in una stessa classe di una trentina di studenti ragazzi in grado di procedere autonomamente verso il diploma e altri che per questo hanno bisogno di assistenza personalizzata. Lei pensa a una scuola stile college, una sorta di campus in cui i docenti tengono conferenze o fanno lezione a piccoli gruppi selezionati secondo le necessità individuali, o addirittura si occupano in caso di esigenze particolari del singolo alunno. Inoltre si fa affidamento sull'esercizio fisico: prima di una lezione di matematica, per esempio, niente di meglio che una bella pedalata in gruppo lungo la riva dell'Hudson. In fondo, dice, New York City può essere usata come aula, e che aula! Si può anche stimolare l'apprendimento, aggiunge, con esercizi di stretching  prima di passare al lavoro. Naturalmente, precisa, il rigore professionale non può e non deve essere messo in discussione.

Anche in materia di contenuti niente, nel progetto iZone, è fisso e immutabile: l'obiettivo è in movimento, l'importante è mettere i ragazzi in grado di pensare criticamente. Nei tempi difficili che viviamo e che probabilmente caratterizzeranno il futuro dei nostri giovani, i riformatori newyorchesi si propongono di aiutarli a sviluppare consapevolezza di sé, a non lasciarsi smontare dall'incertezza, a non cedere di fronte all'ignoto. La carica innovativa del progetto non deve far pensare a una visione iper-tecnologica: certo il computer aiuta ma non è con il computer che si migliora la qualità della scuola. Piuttosto con docenti preparati e coinvolti. Brooke Jackson è molto fiera del suo staff, un facile accesso a insegnanti sempre disponibili è parte del progetto e, ormai, della prassi. “I ragazzi arrivano prima dell'orario per parlare con  i docenti e si trattengono alla fine della giornata. Al punto che qualche volta devo accompagnarli alla porta...”

                                                          a. v.
                                         

    


                                                  

 
 

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