FOGLIO LAPIS - FEBBRAIO - 2010

 
 

Per il ministro Mariastella Gelmini è una svolta epocale, per il presidente Silvio Berlusconi la prima vera riforma dai tempi di Giovanni Gentile – Ma secondo opposizione e sindacati di epocale ci sono solo i tagli: meno indirizzi, meno ore settimanali, meno insegnanti – Intanto fa discutere anche la proposta di abbassare a 15 anni l’età minima lavorativa: in questo modo, protestano in molti, si taglia anche la durata effettiva dell’obbligo scolastico

 

Dopo una lunga serie di indiscrezioni e aggiustamenti, è stato finalmente presentato il piano di riforma dell’istruzione secondaria di secondo grado. Sono state nella sostanza confermate le linee già note da tempo. Sei i licei (classico, scientifico, artistico, linguistico, delle scienze umane, musicale-coreutico), alcuni dei quali (artistico, scientifico, delle scienze umane) articolati in vari indirizzi. Undici gli istituti tecnici: due nel settore economico e nove nel tecnologico. Sei gli istituti professionali, che a loro volta si dividono fra il settore dei servizi e quello tradizionale dell’industria-artigianato.

In questo ventaglio di opzioni spicca la novità del liceo musicale-coreutico, finora presente solo come sezione distaccata di alcuni classici, mentre il nuovo liceo delle scienze umane non è che la reincarnazione del liceo socio-psico-pedagogico, a sua volta erede dell’antico istituto magistrale che per decenni ha sfornato i maestri, e soprattutto le maestre, della vecchia scuola elementare. Per quanto riguarda i curricula si parla di potenziamento delle lingue, con l’interessante novità che nell’ultimo anno di corso sarà insegnata in lingua straniera anche una materia non linguistica. In realtà il discorso è in pratica limitato all’inglese: solo nel linguistico si prevede ovviamente l’insegnamento di altre lingue, mentre nell’opzione economico-sociale del liceo delle scienze umane si faranno tre ore settimanali di una seconda lingua. Nelle altre scuole una sola lingua, dunque l’inglese. Nell’istruzione tecnica, si assicura un ruolo decisivo alla cultura scientifica di base e alla didattica di laboratorio. Infine dopo le molte polemiche (si veda l’articolo in proposito su questo stesso numero) si cerca di ridare un po’ di spazio alla geografia, ormai tradizionalmente negletta.

Per quanto riguarda gli orari è prevista una generale riduzione: per esempio ventisette ore settimanale nei primi due anni dei licei (con l’eccezione dell’artistico, in cui le ore saranno sette di più), trenta ore nel triennio finale di scientifico, linguistico e scienze umane, trentuno al classico, trentacinque all’artistico. Negli istituti tecnici e nei professionali, trentadue ore settimanali: cioè un orario decisamente più ridotto dell’attuale, che è compreso fra le ventisette e le trentasei ore nei tecnici, fra le trentacinque e le quarantadue nei professionali. La riforma entrerà in vigore con il prossimo anno scolastico per i primi anni, e poi entrerà a regime al termine del primo ciclo quinquennale. Riforma epocale, la chiama il ministro Gelmini, la prima vera riforma dai tempi di Giovanni gentile, le fa eco il presidente Silvio Berlusconi: ma secondo i molti critici qui di epocale ci sono solo i tagli.

Dalla semplificazione del quadro complessivo delle opzioni, e più ancora dalla riduzione degli orari, deriva infatti una conseguenza obbligata: nella nuova scuola secondaria di secondo grado ci sono diciassettemila cattedre di troppo, che saranno gradualmente eliminate. E questo ovviamente fa gridare allo scandalo: si ha infatti la netta impressione che la riforma, nonostante le ambiziose etichette, discenda in realtà soprattutto dall’esigenza di ridurre la spesa per la scuola. È la riforma del ministro dell’Economia, tuona l’opposizione politica e sindacale, più che quella del ministro dell’Istruzione. Inoltre ci s’interroga sul destino delle migliaia d’insegnanti precari, molti dei quali resteranno senza lavoro mentre nel migliore dei casi resteranno tali, visto che a lungo i pensionamenti non genereranno nuove cattedre a disposizione.

Come al solito attorno alla scuola divampa dunque un’aspra polemica. Non soltanto per la riforma annunciata dal ministro Gelmini, ma anche per un emendamento a un disegno di legge sul lavoro, presentato dal governo, che riduce di un anno l’età minima per l’accesso al lavoro e parallelamente il limite di durata dell’obbligo scolastico. Nell’interpretazione autentica di Maurizio Sacconi, ministro del Lavoro, si tratta più esattamente di un anno di obbligo scolastico che è possibile assolvere in fabbrica, attraverso un contratto di addestramento che dovrebbe prevedere anche attività di formazione. Insomma l’obbligo resta fissato a sedici anni, ma a quindici non sarebbe più necessario tradurlo nella frequentazione di un’aula scolastica. Da parte governativa si sostiene che in questo modo si cerca di recuperare tutti quei sedicenni (erano centoventiseimila nel 2008) che nell’attesa dell’età minima per il lavoro restano comunque fuori da ogni esperienza formativa. I critici concordano sul fatto che questo è un problema reale: ma considerati gli standard insoddisfacenti di preparazione media dei nostri ragazzi, lo si deve affrontare non mandandoli in fabbrica, ma restituendoli ai banchi di scuola.

 

                                                          r. f. l. 
                                         

    


                                                  

 
 

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