FOGLIO LAPIS - FEBBRAIO 2005

 
 

Un neologismo, licealizzazione, entra nel lessico dell’attualità scolastica – La veneranda istituzione, tradizionale corno umanistico del dilemma delle “due culture”, si allarga infatti fagocitando buona parte dell’istruzione tecnica – La proposta governativa allarma le regioni: che cosa resta infatti al sistema regionale di istruzione e formazione professionale? – Critiche al progetto anche dall’interno dello stesso governo: dunque il discorso rimane aperto

 

Filosofia per tutti, annuncia il ministero dell’istruzione non più pubblica. Per tutti gli studenti del secondo ciclo, non solo per gli umanisti del classico ma anche per quelli che faticheranno sulla partita doppia, o sull’estimo, o si avventureranno lungo i percorsi dell’elettronica o della multimedialità. Perché saranno tutti liceali, compresi coloro che fin qui sono stati gli studenti degli istituti tecnici. E l’insegnamento della filosofia, due ore settimanali per tutti dalla terza classe in avanti, tre per quelli del classico e del liceo delle scienze umane, consacra appunto lo spirito di questa proposta, che viene classificata sotto un’etichetta-neologismo: licealizzazione. La riforma, di cui si propone una graduale attivazione a partire dall’anno scolastico 2006/07, lancia infatti la bellezza di otto licei. Ci sono quelli per così dire tradizionali: il classico, lo scientifico, il linguistico, l’artistico. A questi si aggiungono, sul versante umanistico, il liceo musicale-coreutico e quello consacrato appunto alle scienze umane. Gli altri due istituti di cui si propone l’istituzione sono il liceo economico e il tecnologico.

Otto licei vi sembran pochi? La cifra non esaurisce il tema, a moltiplicare la scelta ci sono gli indirizzi. Solo il classico, lo scientifico, il linguistico e l’umanistico ne sono privi, o per meglio dire hanno un unico indirizzo. Che è stato qua e là modificato: per esempio nello scientifico si ridimensiona l’insegnamento del latino: accanto alla licealizzazione complessiva del sistema, assistiamo dunque a una sorta di delicealizzazione dello scientifico.  Se uno si iscrive al liceo artistico, avrà davanti a sé la scelta fra tre indirizzi: arti figurative, architettura design e ambiente, audiovisivo multimedia e scenografia. Due gli indirizzi, come è implicito nella denominazione, per il liceo musicale e coreutico. Due anche per il liceo economico: aziendale e istituzionale, ma il liceo economico a indirizzo aziendale sarà a sua volta articolato fra tre specifici “approfondimenti”. Quanto mai variegato infine il liceo tecnologico, che offrirà una ricchissima scelta fra otto indirizzi: meccanico, elettrico ed elettronico, informatico e della comunicazione, chimico e biochimico, agrario, sistema moda, costruzioni e territorio, trasporti. In tutto, se abbiamo fatto bene i conti, si prospettano dunque ventuno diversi modi di frequentare il liceo.

Tutto questo è stato presentato in forma di “bozza di decreto” (scaricabile dal sito Internet del Ministero: www.istruzione.it) con l’invito da parte del ministro Letizia Moratti a inviare proposte e miglioramenti migliorativi. Le prime reazioni permettono di prevedere che la bozza dovrà e potrà essere sensibilmente modificata. Ci sono critiche infatti non soltanto da parte dei sindacati e dell’opposizione parlamentare, ma anche dalla maggioranza e perfino dall’interno dello stesso governo. Inoltre la proposta, così com’è, rischia di aprire un contenzioso fra stato e regioni. Infatti la pluralità degli indirizzi previsti per il liceo tecnologico assorbe di fatto buona parte della potenziale domanda che dovrebbe alimentare il sistema di istruzione e formazione professionale, demandato appunto alle regioni. Ci sono poi critiche contraddittorie: da una parte si contesta l’idea di allargare ai “tecnici” l’insegnamento della filosofia, dall’altra quella di ridurre lo spessore umanistico dell’istruzione liceale, con la solitaria eccezione del classico.

Viene inoltre rilanciata la critica al meccanismo previsto per varcare la soglia fra primo e secondo ciclo, cioè la scelta sul proprio futuro personale affidata ai ragazzi in età così precoce: liceo o formazione professionale? È vero che si assicura la reciproca permeabilità del sistema: ma se è possibile ipotizzare che un ragazzo del classico, stanco di greco e di latino, si rifugi in un istituto professionale, è abbastanza difficile immaginare il percorso inverso. Si direbbe che la licealizzazione dell’istruzione tecnica nasca proprio come reazione alle molte critiche di questa natura: ma per parare l’accusa di discriminazione, di mobilità sociale ostacolata, si imbocca una strada irta di contraddizioni. Che oltretutto trascura di prendere a modello certe esperienze positive: per esempio il liceo musicale è stato sperimentato con successo, citiamo il caso di Arezzo, come indirizzo del liceo classico: nella bozza viene invece tratteggiato come un istituto a sé, che ancor più dello scientifico si vede ridotta la valenza umanistica attraverso l’eliminazione del latino.

Un altro problema nasce dalla puntigliosa definizione degli orari settimanali, con le materie fisse, le opzionali obbligatorie e quelle facoltative. Un ritorno inatteso del vecchio centralismo ministeriale: ma l’autonomia, dov’è andata a finire? Non resta che augurarsi che all’invito del ministro, di inviare suggerimenti per migliorare la bozza, corrisponda la volontà di prenderli sul serio, smentendo non soltanto sul piano formale l’accusa che investe la “riforma calata dall’alto”. La necessità di adeguare ai tempi il sistema italiano dell’istruzione del secondo ciclo, oltre duemilacinquecento licei e più di quattromila fra istituti tecnici e professionali, merita infatti un’attenta riflessione della società nel suo insieme.

                                             r.f.l.
                                         

                                                                                                 

 

 
 

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