FOGLIO LAPIS - DICEMBRE - 2017

 
 

Gli studenti italiani in piazza per protestare non tanto contro l'alternanza scuola-lavoro, quanto contro il modo in cui viene di fatto realizzata – Dovrebbe essere in linea con i loro studi e non una fonte di manodopera a costo zero – Anche il sistema educativo francese punta sempre più su un rapporto corretto con il mondo delle professioni – La “classe rovesciata”, una formula innovativa teorizzata e sperimentata all'Università cattolica di Lilla

 

Lo scorso 13 ottobre in una settantina di città italiane decine di migliaia di studenti hanno dato vita a vivaci manifestazioni di protesta. Nel mirino l'alternanza scuola-lavoro, o per meglio dire il modo in cui di fatto viene realizzata nel nostro sistema scolastico. I manifestati hanno messo bene in chiaro che non mettono in discussione il principio in sé dell'alternanza (al contrario la considerano un'efficace cerniera con il mondo del lavoro) quanto il modo in cui di fatto viene praticata nelle nostre scuole. Per essere davvero efficace, soprattutto per scrollarsi di dosso il sospetto che serva solo alle aziende come comoda riserva di manodopera a costo zero, deve infatti rapportarsi direttamente con il percorso didattico.

Ne abbiamo abbastanza, dice uno degli organizzatori della giornata di protesta, di portare il caffè o di fare fotocopie, di vedere la nostra formazione degradata a lavoro gratis. Si chiede dunque che venga ripensato e modificato il meccanismo dell'alternanza, che se ne faccia un salutare incastro fra la teoria dell'istruzione in aula e la pratica della formazione sulla concretezza del lavoro. Soltanto in questo modo potrà crearsi quella saldatura fra scuola e professioni che dovrebbe permettere ai nostri giovani d'integrarsi facilmente, al termine dell'esperienza scolastica, nel tessuto sociale e nel suo  sistema produttivo.

Su questo stesso tema si sta svolgendo in Francia un interessante dibattito. La finalità è comune: si tratta di avvicinare gli studenti al  mondo del lavoro. Ma al tempo stesso i francesi insistono su un altro punto: sviluppare l'autonomia nel percorso educativo. Le argomentazioni in proposito prendono le mosse da una semplice constatazione: l'avvento del digitale fa sì che il docente non è più il solo depositario delle conoscenze. Una nuova pedagogia deve tener conto di questa realtà e puntare su un obiettivo maieutico: imparare ad imparare. E “imparare facendo”, cioè attraverso l'impegno in attività concrete, che dovrà essere di gruppo, anticipando così la forma tipica del lavoro professionale.

Un altro elemento emerso dal dibattito francese è l'opportunità di mettere a contatto e mescolare le competenze. In altre parole i ragazzi devono abituarsi a operare assieme a persone provenienti da esperienze, culture e linguaggi diversi. In questo modo fra l'altro s'incoraggia la creatività, che contrariamente a quanto si dice non è affatto innata. Di fronte a tutto questo, la posizione  dell'insegnante è quella di un accompagnatore, che verifica le conoscenze assorbite autonomamente dagli studenti riuniti in gruppi e cura la correttezza del rapporto fra la teoria e la pratica.

Il quotidiano parigino Le Monde cita Jean-Charles Cailliez, docente di biologia cellulare all'Università cattolica di Lilla, e la sua teoria della “classe rovesciata” che ha sperimentato con successo. É una formula davvero rivoluzionaria, che vede gli studenti costruire da sé il programma del corso e definirne il contenuto, fino addirittura a valutare i singoli rendimenti. A questo punto, fa notare Cailliez, l'insegnante indossa le vesti di “direttore di una micro-impresa che produce conoscenza”. Applicando questo schema, aggiunge il professore di Lilla, gli studenti acquisiscono insieme sapere e competenze.

 

                                                          l. v. 

                                         

    


                                                  

 
 

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