FOGLIO LAPIS - DICEMBRE - 2016

 
 

Vi raccontiamo un esempio straordinario di solidarietà, particolarmente significativo in questi tempi così critici nei riguardi dell'accoglienza – La “Casa aperta” apre le sue porte davvero agli ultimi, cioè a coloro che proprio nessuno vuole – Uno slancio umanitario che copre le manchevolezze pubbliche - Ma le difficoltà sono enormi e trasformano questa iniziativa, che dovrebbe essere agevolata ad ogni livello, in una lotta quotidiana per la sopravvivenza

 

La normalità del Bene. É questo che si respira a casa della Checca e Sette, i coniugi Francesca e Giuseppe Mariotti. Una “Casa aperta” come la definiscono semplicemente loro.

Tutto è cominciato dalla madre di Francesca, la professoressa Elvira Bigazzi, un'insegnante all'avanguardia che nella piccola frazione di Montagnano, in Val di Chiana, realizzò con i colleghi – e fu un vero successo – la sperimentazione per la scuola media unificata fra gli anni '60 e '70, anni che furono particolari nella scuola e nella vita dei giovani europei.

Morto il marito, dirigente all'Ufficio del Registro, lei aprì la sua meravigliosa casa ubicata nell'Arezzo storica... a tutti quegli esseri umani che in qualche modo necessitavano di aiuto. Questo l'esempio di vita che diede ai suoi sei figli, e “Sette” è il nome che questa mamma diede a Giuseppe quando innamoratosi di Francesca entrò a far parte della famiglia. Il “Babbo” e la “Mamma”, come si chiamano anche tra di loro Francesca e Giuseppe, si sono conosciuti nel '64 ad un campo scout, lui era un giovane frate di Roma ed era il padre spirituale del gruppo. “Lei”, ricorda il babbo, “era più frate di noi, dicevo ai miei confratelli”. E così uniti dalla fede in Cristo e dagli insegnamenti del Vangelo, si sposarono nel 1972 a San Giovanni in Laterano, grazie ad una speciale dispensa di papa Paolo VI.  “Sono sempre stato la disperazione di mia mamma, prima perché mi feci frate, poi perché lasciai l'abito per sposarmi, oltre che con la Chiesa, anche con Francesca”. Ai tempi, come si può bene immaginare, la storia dei due innamorati destò un vero scandalo tra i” moralisti”.

A Francesca, diciassettenne, fu affidata dalla madre Elvira, che pur in pensione continuò a lavorare a Firenze presso Italia Nostra (che si occupa del patrimonio artistico e ambientale italiano) Olga, la loro prima ospite, una bambina piccolissima affidata dai servizi sociali perché la madre naturale non era in grado di tenerla. Olga è cresciuta nella famiglia e a lei  sono seguiti tanti altri bambini, giovani e adulti, che in un modo o nell'altro necessitavano di Amore e di una vera famiglia. Alla domanda su quanti figli hanno allevato la Checca e Sette rispondono semplicemente “tanti”, e con ogni tipo di problematica, incluse tossicodipendenza e HIV. A proposito dell'HIV mi raccontano di come hanno seguito fino alla morte, nella loro casa, alcune persone che solo presso di loro hanno trovato la vera Accoglienza, quella senza pregiudizi.  E la Checca, vedendo la mia espressione di meraviglia, aggiunge; “quando noi parliamo degli ultimi... parliamo esattamente di quelli che  non vuole NESSUNO...”

Sette è anche lui professore e ha pure insegnato alla scuola per orafi, è artista, scultore e specializzato in ritratti anche su monete: è suo il ritratto in argento di Vittoria Colonna commissionato dal liceo omonimo aretino, ed è suo l'altare con un grande bassorilievo nella chiesa di San Leo. Mi spiega che l'ispirazione del soggetto in questione – Gesù che spezza il pane con tutti i bambini intorno – gli è venuta da un quadro di Salgado intitolato “la migrazione dei popoli”. A questo proposito Sette ha parole durissime per chi non comprende che nel mondo ci deve essere spazio per tutti, perché abbiamo bisogno gli uni degli altri. Ancora insiste su quel “vivere il Vangelo” a lui così caro e su tutto quello spazio che esiste negli ex conventi ormai vuoti di vocazioni. Posti magnifici dove tante persone potrebbero essere ospitate degnamente.

Prima di lasciarci mi parlano di un “orto sociale” che da anni hanno realizzato con l'aiuto della Regione, dove persone svantaggiate socialmente hanno trovato il modo di lavorare la terra e vendere i loro prodotti ricavando un piccolo profitto che adesso, senza più l'aiuto della Regione, piano piano va a scomparire: anche se la Checca per farlo continuare vi ha investito persino la liquidazione di funzionaria del Catasto.

     Attualmente ospitano sia bambini che adulti provenienti dalla Repubblica Dominicana, dall'Egitto e dall'Italia, e hanno grossi problemi per andare avanti perché persino la Curia, proprietaria dell'immobile in cui vivono, nonostante l'abbiano interamente ristrutturato pretende 600 euro al mese: gli uffici amministrativi hanno comunicato che se non possono pagare l'affitto devono andarsene. Non solo, ma stremati dalle esose bollette di luce, acqua, ecc. con un reddito totale di 2000 euro al mese tra moglie e marito, alla proposta di produrre un documento che attesti la loro specificità di “Casa aperta” (da 50 anni) con conseguente sgravio fiscale almeno parziale, si sono sentiti rispondere NO: “per non creare un precedente”. Alias senza aiuti di nessun genere, sia economici che di volontari (che guidino la macchina, o aiutino nella realtà domestica e rurale...) saranno costretti anche dall'età, più di ottanta lui, e dalla salute a chiudere la Casa in cui il Bene è realmente una normalità “SENZA PRECEDENTI” nella nostra realtà.     

 

 

                                                        Marilena Farruggia 

                                         

  


                                                  

 
 

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