FOGLIO LAPIS - DICEMBRE - 2010

 
 

Una volta si chiamava Educazione civica, poi Educazione alla convivenza civile e infine Cittadinanza e Costituzione – Qualunque sia la denominazione, questa disciplina non ha vita facile nella nostra scuola – Una circolare del ministero dell’istruzione la condanna a una grama sopravvivenza: non sarà, come era stato promesso, materia autonoma, non avrà un orario suo ma farà parte di altri contesti disciplinari

 

Nel 1958 un ministro dell’istruzione che si chiama Aldo Moro introduce una nuova materia nei curricula della scuola media superiore. Viene battezzata Educazione civica e si propone di affiancare alla formazione della persona, che è compito generale dello sforzo educativo, la formazione del cittadino. Insegnargli i fondamenti della convivenza, a partire da quella Costituzione della Repubblica che proprio quell’anno compie il decimo anno di vita, rendergli familiari non soltanto i valori sui quali si fonda il nostro Stato e i fondamenti della legalità, ma anche i meccanismi della sua struttura istituzionale. Purtroppo questo insegnamento non è mai stato preso troppo sul serio: ingolfato nei programmi di Storia, è stato generalmente ridotto a una superficiale infarinatura. Molti anni più tardi un altro ministro, l’attuale sindaco di Milano Letizia Moratti, cerca di rilanciare la disciplina rinominandola Educazione alla convivenza civile.

Si arriva così all’agosto del 2008 quando, esattamente mezzo secolo dopo l’innovazione di Moro che purtroppo non ha avuto l’auspicato successo, un nuovo titolare dell’istruzione, Maria Stella Gelmini, annuncia l’introduzione nella scuola primaria e secondaria di una vera e propria disciplina, che chiama Cittadinanza a Costituzione. Avrà vita autonoma e brillerà di luce propria: sono infatti previste trentatrè ore annuali e una specifica valutazione. Ci sarà, insomma, un voto. Due anni più tardi, la retromarcia. Questa idea d’insegnare la Costituzione non è affatto condivisa in seno alla maggioranza di governo. In pieno consiglio dei ministri i rappresentanti del gruppo che considera con fastidio i temi “nazionali” e addirittura sogna la secessione, fanno sapere che quella è “roba superata, lontana dagli interessi dei giovani”. Evidentemente a questo attacco non corrisponde una difesa adeguata, si arriva così a una circolare ministeriale dello scorso 27 ottobre.

Vi si riconosce che la disciplina di cui si parla ha “contenuti propri che devono trovare un tempo dedicato per essere conosciuti e approfonditi”, ma al tempo stesso l’insegnamento ne viene per così dire soffocato all’interno di altre aree disciplinari, da quella storico-geografica a quella storico-sociale. Dunque la materia non ha alcuna autonomia e non prevede l’assegnazione di un voto, non ha un proprio orario ma sarà gestita nel monte-ore delle discipline di riferimento, del resto anche quelle piuttosto sacrificate nella scuola dei nostri giorni. La Storia, e tanto più la Costituzione, è etrsnea alle tre I: non è internet, né inglese, né impresa.

Il sostanziale rifiuto d’includere la Costituzione della Repubblica fra i testi da far conoscere alle nuove generazioni non sorprende più di tanto, in un’Italia che sembra addirittura imbarazzata dall’imminenza del suo centocinquantesimo compleanno come Stato unitario. In effetti è proprio l’unità dello Stato al centro delle polemiche, sullo sfondo dell’introduzione in corso di elementi federalisti nella struttura istituzionale. Una correzione dell’assetto dello Stato che può essere di per sé positiva, ma che fa discutere in relazione al “come”: federalismo solidale, o federalismo come autoisolamento delle parti più sviluppate del paese? Quei “federalisti” estremi accarezzano in realtà l’idea del distacco da quella Italia del Sud che il processo unitario volle riunire al prospero Nord.

A parte il dibattito sui contenuti della riforma federalista, è proprio l’attualità di questa correzione istituzionale che impone di parlare della Carta del 1948, che come si sa contiene in sé l’indicazione dei meccanismi per la propria modifica. Come si può pretendere di avere dei cittadini e degli elettori consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri, se si nega la conoscenza di base delle regole fondamentali dello Stato? Per non parlare dei principi e dei valori delle grandi organizzazioni internazionali, a cominciare dall’Unione Europea di cui facciamo parte come soci fondatori. Illustrare la Costituzione non significa necessariamente celebrare un mito intoccabile: la nostra Carta è l’istantanea dell’Italia anni Quaranta, uscita dalla dittatura e dalla guerra, di un’Italia profondamente diversa dall’attuale, e dunque può e deve essere discussa, modificata, migliorata. Ma non ignorata, questo il punto.

 

                                                          a. v. 
                                         

    NotaLa Lapis ha sempre avuto a cuore l’insegnamento dei principi costituzionali. Per questo è consultabile in rete (http://www.leggilalegge.it/) il nostro “corso irregolare di educazione alla legalità”, concepito per la scuola primaria ma di qualche utilità anche per le classi successive e persino per gli adulti che intendano rinfrescare la propria conoscenza della Carta fondamentale.


                                                  

 
 

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