FOGLIO LAPIS - DICEMBRE - 2008

 
 

In realtà si chiamano ufficialmente classi d’inserimento -  Secondo una mozione approvata dalla camera dei deputati dopo un animato dibattito, saranno riservate a quegli alunni stranieri che non avranno superato un test preliminare d’italiano per accedere alle classi normali – Da una parte si parla d’intervento volto a facilitare l’integrazione, dall’altra di un’inaccettabile forma di discriminazione – La proposta alternativa dell’opposizione: corsi aggiuntivi di lingua, senza separare i bambini

 

Prima una prova d’ingresso sulla conoscenza della lingua italiana, poi, nel caso che il bambino abbia dimostrato di non conoscerla abbastanza per poter seguire con profitto le lezioni, la frequenza di classi separate, volte a colmare la lacuna. Questa novità, introdotta con una mozione del deputato leghista Roberto Cota approvata dalla camera dei deputati con 265 voti favorevoli e 246 contrari, ha innescato una nuova aspra polemica sulle scelte educative. Quelle classi, che nello strumento legislativo vengono chiamate d’inserimento e che i favorevoli all’innovazione definiscono classi ponte, secondo gli oppositori sono invece veri e propri ghetti. La proposta di Cota viene criticata anche su un altro punto, quello che vieta le iscrizioni nelle classi ordinarie oltre il 31 dicembre, interpretato come la volontà di escludere eventuali piccoli stranieri giunti nel nostro paese successivamente a quella data.

Una proposta abietta, s’inserisce la discriminazione nella scuola”, denuncia Piero Fassino, autorevole rappresentante dell’opposizione. Altri parlano di xenofobia, di razzismo. Rispondono lo stesso presidente del consiglio Silvio Berlusconi: “Le classi ponte? Una scelta di buonsenso, utile a studenti e insegnanti”; e il ministro dell’istruzione Mariastella Gelmini: “È sciocco parlare di razzismo”. La discussione rapidamente s’infiamma: “Berlusconi non sa di che cosa parla”, accusano le deputate Albertina Soliani e Sandra Zampa, che a nome dell’opposizione hanno presentato un progetto alternativo. È radicalmente diverso dal modello Cota: prevede infatti che i piccoli stranieri entrino nelle classi normali e che parallelamente alle lezioni seguano un corso integrativo per familiarizzarsi con la nostra lingua. Infatti, spiega la deputata Soliani, “nulla vieta di dedicare ore aggiuntive alla full immersion linguistica”.

Sul tema scende in campo Famiglia Cristiana, il diffusissimo settimanale cattolico, schierandosi senza riserve contro la filosofia del sistema proposto dalla maggioranza e appoggiando invece lo schema dell’opposizione. “L’unione al posto della separazione. Sappiamo per esperienza che l’italiano, come tutte le lingue, s’impara prima se mettiamo i ragazzi stranieri a contatto con gli italiani il prima possibile: separando, l’apprendimento linguistico rallenta. Per i bambini è una questione di pochi mesi”.

C’è un aspetto della questione che nella polemica in corso si è trascurato di considerare. Chi ha mai detto che soltanto i bambini stranieri possono avere difficoltà con l’italiano? La verità è che lacune linguistiche anche gravi, determinate dai contesti familiari e sociali di provenienza, possono riguardare molti piccoli italiani. E non soltanto i piccoli, del resto: basta seguire i telegiornali che notare come buona parte della nostra classe politica abbia ben poca familiarità con le regole grammaticali e sintattiche, per esempio ignori l’uso del congiuntivo e si permetta ogni sorta di disinvolte licenze. Per tacere di molti giornalisti, che pure dovrebbero essere i professionisti della parola...

È anche per questo che il modello Cota è discutibile, visto che prende i considerazione soltanto le lacune culturali registrabili fra gli stranieri. Che fare dunque? Esame di lingua per tutti? In questo caso le classi ponte ospiterebbero anche bambini italiani: ma potrebbero ugualmente definirsi classi ghetto, e marchiare in qualche modo chi le frequenta. Meglio, molto meglio, come raccomandano l’opposizione parlamentare e Famiglia Cristiana, farli stare insieme, quei bambini, nelle stesse classi ordinarie, e impartire lezioni supplementari di lingua a tutti quelli, stranieri o italiani, che dimostrino di non saper manovrare con scioltezza lo strumento principale della comunicazione.

 

                                                          a. v. 
                                         

    


                                                  

 
 

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