FOGLIO LAPIS - DICEMBRE - 2001

 
 

La nascita e i primi dieci anni nella selvaggia natura africana: per Tippi, una bambina francese, l’accostamento al modello letterario di Mowgli è d’obbligo – La piccola ha imparato a comunicare con gli animali: ma ora, trapiantata a Parigi, non ne è più capace – Riprendiamo la sua storia per gentile concessione del settimanale la Repubblica delle donne, che l’ha pubblicata nel numero del 20 ottobre 2001

 

Come deve sembrarle piccola, Parigi. Quanto insulsi i lampioni, l’alta moda, le brasserie, il Centre Pompidou che guarda dalle finestre di casa, i compiti di matematica che l’aspettano sul tavolo. E soprattutto gli uomini. Della sua Africa, quella in cui Tippi è nata, dieci anni fa, le sono rimasti il sofà, un paio di credenze, i tappeti, gli orpelli, le foto e i ricordi. Nel bilocale in cui i suoi genitori si sono trasferiti qualche mese fa, il resto del suo vecchio mondo non può entrare. Abu, l’elefante trentenne che era il suo angelo custode e nel tempo libero faceva l’attore per i film di Disney; Linda, lo struzzo che la portava in groppa attraverso la savana del Kalahari, al confine tra Namibia, Sudafrica e Botswana, il loro sterminato giardino privato; Mufasa, il leoncino che si rotolava con lei. Da quest’avventura parigina devono restare tutti fuori. Nell’appartamento in cui abita adesso non le è neppure concesso di tenere un cane.  

Tippi collage, di Silvana Licari

Quando Silvie e Alain Degré, che di Tippi sono i genitori, le spiegarono che dovevano partire, lasciare l’Africa, che il lavoro che li aveva portati lì come fotografi era finito e la loro vita sarebbe cambiata, per la bambina fu un piccolo dramma. Tippi non rivolse la parola a nessuno per un mese. Mentre gli altri organizzavano il trasloco, lei taceva. Parlava soltanto con i suoi amici a quattro zampe. Per salutarli. Per spiegare loro che non sarebbe tornata, che il tempo dei giochi e delle corse era finito. “Ognuno di noi ha un dono. C’è chi sa scrivere, chi fotografare, come mamma e papà, chi recitare, come Abu. Io parlo con gli animali. Lo so che mi chiamano piccola Mowgli. Ma io non uso la voce. Capisco cosa i miei amici mi vogliono dire da uno sguardo, dal modo in cui muovono le piume, alzano una zampa, usano gli artigli”, scrive con tono da adulta la bimba in Tippi aus Afrika, il libro-diario pubblicato dalla casa editrice tedesca Ullstein. Non è supponenza né presunzione, solo infantile candore. Nessun o come lei ha avuto a disposizione uno zoo senza gabbie né confini. Tippi ha vissuto dentro un  documentario, per dieci anni. I genitori hanno scelto per lei questo destino, farne la protagonista di un lungo studio fotografico e cinematografico sui rapporti fra i bambini – una bambina, la loro – e la natura. Adesso le foto, la storia, il film fanno il giro dei network e delle copertine dei magazine.

Neppure i tre nomi scelti per lei sono stati un caso. Tippi come l’attrice Tippi Hedren, amata protagonista del cult supremo di Hitchcock, Gli uccelli; Beniamine, più semplicemente, dal nome di un amico di famiglia; Okanti come la parola che la tribù  sudafricana degli Ovambo usa per chiamare la mangusta. Selvaggia per nome, dalla nascita, e per scelta altrui. Poi la vita parigina. Che, Tippi sostiene, le ha insegnato soprattutto una cosa: parlare agli animali non è un talento innato: “Adesso non ne sarei più capace”.

 

                           Artemide Villani

 

                                                                              

 

 
 

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