FOGLIO LAPIS - DICEMBRE - 2001

 
 

La proposta della commissione Bertagna, presentata agli Stati generali della scuola in vista del dibattito parlamentare, è stata accolta dal solito doppio coro di critiche e consensi – La prima bozza resa pubblica presenta alcune forzature davvero sconcertanti, a cominciare dai tagli all’orario – Materie extracurricolari a pagamento? – Auguriamoci che si tratti di una flessibile base di discussione

 

Il disegnatore satirico Sergio Staino ritrae un’aula con porta d’accesso a pagamento, un prete e un imprenditore appoggiati alla cattedra su cui troneggia un computer. L’ex ministro Luigi Berlinguer, promotore della legge di riforma dei cicli bloccata dall’attuale governo, lamenta l’incomunicabilità dei canali formativi previsti dopo la scuola media, e la riduzione a soli quattro anni dell’istruzione secondaria. Quest’ultimo punto è criticato anche dal commentatore Angelo Panebianco, avversario convinto della riforma dei cicli, che pure plaude al disegno complessivo soprattutto perché ristabilisce le distanze fra elementari e medie. Sono alcune fra le tante reazioni suscitate dal rapporto della commissione presieduta dal pedagogista Giuseppe Bertagna, cui il ministro dell’istruzione Letizia Moratti ha affidato l’incarico di preparare un’ipotesi di riforma.

Il documento è stato concepito come base di discussione per gli Stati generali dell’istruzione, in programma a Foligno il 19 e 20 dicembre 2001, e successivamente per il parlamento. Questo iter è stato preceduto da un doppio coro di reazioni: molte positive, moltissime critiche, accompagnate queste ultime da scioperi, infuocate assemblee, proteste di studenti e insegnanti. Ci si augura ovviamente che i promotori ministeriali del testo lo considerino flessibile e perfettibile, pronto a accogliere i necessari contributi migliorativi.

Dopo che il nuovo governo ebbe bloccata la legge di riforma dei cicli ereditata dal precedente, che doveva scattare con l’inizio del corrente anno scolastico, era logico attendersi un’ipotesi di riforma che rispecchiasse questa scelta. Infatti il documento Bertagna cancella la neonata scuola di base di sette anni e ristabilisce il quinquennio elementare e il successivo triennio delle medie, sia pure dividendo questi otto anni in quattro cicli biennali che di fatto annullano il confine fra elementare e media. Biennale sarà anche, alle elementari e dopo, il ritmo delle verifiche di rendimento. Una prevedibile ansia di restaurazione ha portato a eliminare il sistema modulare introdotto alle elementari nel 1990. Ma il ritorno al maestro unico non è poi così drastico: solo nel primo ciclo, cioè in prima e seconda, ci sarà un “coordinatore” che occuperà quasi tutto il tempo. Nel secondo ciclo il coordinatore sarà affiancato da un altro insegnante: delle 25 ore settimanali 15 toccheranno al primo, 10 al secondo. In quinta, finalmente, tre insegnanti: in pratica l’aborrito modulo.

Venticinque ore settimanali, cioè 825 ore all’anno. Altre trecento ore annue, facoltative, potranno essere aggiunte. E qui cade uno dei punti polemici. Infatti le classi a tempo pieno, sempre più richieste dalle famiglie italiane, hanno bisogno di 1320 ore all’anno, quasi duecento in più rispetto all’offerta complessiva dell’ipotesi di riforma. E’ chiaro che su questo punto si discuterà a lungo: sia con argomenti tecnici direttamente connessi con le esigenze didattiche, sia su una questione di principio legata al fatto che la commissione prevede la possibilità che il tempo e le discipline supplementari vengano forniti a pagamento, magari da strutture esterne. Insomma, nell’istruzione obbligatoria e gratuita garantita dalla costituzione si ritaglia un segmento educativo che non sarà obbligatorio né gratuito. Le due novità, rinuncia al tempo pieno e straordinari a pagamento, costituiscono di fatto un arretramento dell’offerta pubblica destinato a favorire la scuola privata.  

Questo degli orari scolastici è senz’altro uno dei punti più controversi del documento Bertagna. Nelle superiori le ore obbligatorie vengono addirittura diminuite di un terzo, mentre anche il numero di anni viene ridotto da cinque a quattro (misura destinata a portare il ciclo complessivo ai dodici anni del percorso europeo, obiettivo che la riforma Berlinguer - De Mauro raggiungeva con la scuola di base di sette anni). Gli orari ridotti fanno molto discutere. Visto che ci si propone di migliorare la qualità dell’istruzione, obiettivo reso impellente dalle recenti statistiche comparate sul livello di preparazione culturale, che mostrano i nostri ragazzi ben lontani da una condizione accettabile, come è possibile conseguire questo obiettivo insegnando di meno? Rispondono i promotori dell’ipotesi di riforma che gli alunni saranno liberi di impiegare le ore non più obbligatorie scegliendo insegnamenti facoltativi: ebbene, ve li immaginate i nostri ragazzi in coda alle segreterie per prenotare o documentare le ore supplementari? Per esempio quelle destinate alla musica, alla storia dell’arte e allo sport, inspiegabilmente declassati a materie extracurricolari a pagamento?

Diminuisce dunque il numero degli insegnamenti in programma: e la scelta ripropone l’interrogativo di poco fa. Insegnare meno, insegnare meglio? Ci sono fra l’altro alcuni dettagli che francamente lasciano perplessi. Per esempio si vuole togliere la geografia, addirittura la matematica, dal liceo classico, il latino dallo scientifico. Ai dice che al posto del latino i ragazzi potrebbero dedicarsi all’informatica (a pagamento): ma se per informatica s’intende l’alfabetizzazione al computer, sulla cui necessità non si discute, si tratta di materia per le elementari, non per il liceo. Se invece si tratta di addentrarsi nella programmazione, allora è materia per la formazione professionale. Per quanto riguarda il rapporto pubblico-privato, è stato insediato un gruppo di lavoro ad hoc. L’orientamento governativo favorisce il sistema del “buono scuola”, già applicato da alcune regioni, che aggira l’esclusione costituzionale di oneri diretti a carico dello stato per finanziare l’istruzione privata.

Elemento caratteristico di questa riforma è la triplice possibilità cui si trova davanti il ragazzo uscito a 14 anni dalla scuola media. Potrà optare per i nuovi licei quadriennali, oppure per una formazione triennale a tempo pieno, o infine per una formazione quadriennale da studente-lavoratore. Si intende così elevare il livello della scelta professionale, garantendo fra l’altro a chi cambi idea la possibilità di passare dall’istruzione alla formazione o viceversa. Ma al “viceversa” non è facile dare credito: molti commentatori pensano che gli eventuali ripensamenti avrebbero la possibilità di realizzarsi soltanto in una direzione, cioè dal liceo all’istituto di formazione professionale. Dunque la rigida separazione fra i due indirizzi fa parlare di scuola classista, che divide la società fra una élite e una massa subalterna.

Un altro tema su cui imperversa la polemica è data dai tempi di realizzazione. Il ministero dice che la riforma potrebbe partire già nel settembre 2002, ma è lecito nutrire forti dubbi, considerati i contrasti e l’asprezza dello scontro che si annuncia. Secondo Berlinguer si potrebbe arrivare fino al 2004. E allora tanto vale, sostiene l’ex  ministro, applicare la legge attualmente congelata sulla riforma dei cicli e se proprio la si vuole modificare servirsi dei meccanismi che la legge stessa prevede. In definitiva: poiché si tratta di una proposta è bene discuterne senza preconcetti. Ma sembra chiaro che alcuni punti sono assolutamente da riconsiderare: a cominciare da quelli che si riferiscono ai tempi e alle discipline. Perché la scommessa di migliorare la scuola riducendo l’offerta formativa appare senz’altro perduta in partenza.

                                                                                                                            a.v.

 

 

 

                                                                                        

 

 
 

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