La
proposta della commissione Bertagna, presentata agli Stati
generali della scuola in vista del dibattito parlamentare,
è stata accolta dal solito doppio coro di critiche e
consensi – La prima bozza resa pubblica presenta alcune
forzature davvero sconcertanti, a cominciare dai tagli
all’orario – Materie extracurricolari a pagamento? –
Auguriamoci che si tratti di una flessibile base di
discussione
Il
disegnatore satirico Sergio Staino ritrae un’aula con
porta d’accesso a pagamento, un prete e un imprenditore
appoggiati alla cattedra su cui troneggia un computer.
L’ex ministro Luigi Berlinguer, promotore della legge di
riforma dei cicli bloccata dall’attuale governo, lamenta
l’incomunicabilità dei canali formativi previsti dopo la
scuola media, e la riduzione a soli quattro anni
dell’istruzione secondaria. Quest’ultimo punto è
criticato anche dal commentatore Angelo Panebianco,
avversario convinto della riforma dei cicli, che pure plaude
al disegno complessivo soprattutto perché ristabilisce le
distanze fra elementari e medie. Sono alcune fra le tante
reazioni suscitate dal rapporto della commissione presieduta
dal pedagogista Giuseppe Bertagna, cui il ministro
dell’istruzione Letizia Moratti ha affidato l’incarico
di preparare un’ipotesi di riforma.
Il
documento è stato concepito come base di discussione per
gli Stati generali dell’istruzione, in programma a Foligno
il 19 e 20 dicembre 2001, e successivamente per il
parlamento. Questo iter è stato preceduto da un doppio coro
di reazioni: molte positive, moltissime critiche,
accompagnate queste ultime da scioperi, infuocate assemblee,
proteste di studenti e insegnanti. Ci si augura ovviamente
che i promotori ministeriali del testo lo considerino
flessibile e perfettibile, pronto a accogliere i necessari
contributi migliorativi.
Dopo
che il nuovo governo ebbe bloccata la legge di riforma dei
cicli ereditata dal precedente, che doveva scattare con
l’inizio del corrente anno scolastico, era logico
attendersi un’ipotesi di riforma che rispecchiasse questa
scelta. Infatti il documento Bertagna cancella la neonata
scuola di base di sette anni e ristabilisce il quinquennio
elementare e il successivo triennio delle medie, sia pure
dividendo questi otto anni in quattro cicli biennali che di
fatto annullano il confine fra elementare e media. Biennale
sarà anche, alle elementari e dopo, il ritmo delle
verifiche di rendimento. Una prevedibile ansia di
restaurazione ha portato a eliminare il sistema modulare
introdotto alle elementari nel 1990. Ma il ritorno al
maestro unico non è poi così drastico: solo nel primo
ciclo, cioè in prima e seconda, ci sarà un
“coordinatore” che occuperà quasi tutto il tempo. Nel
secondo ciclo il coordinatore sarà affiancato da un altro
insegnante: delle 25 ore settimanali 15 toccheranno al
primo, 10 al secondo. In quinta, finalmente, tre insegnanti:
in pratica l’aborrito modulo.
Venticinque
ore settimanali, cioè 825 ore all’anno. Altre trecento
ore annue, facoltative, potranno essere aggiunte. E qui cade
uno dei punti polemici. Infatti le classi a tempo pieno,
sempre più richieste dalle famiglie italiane, hanno bisogno
di 1320 ore all’anno, quasi duecento in più rispetto
all’offerta complessiva dell’ipotesi di riforma. E’
chiaro che su questo punto si discuterà a lungo: sia con
argomenti tecnici direttamente connessi con le esigenze
didattiche, sia su una questione di principio legata al
fatto che la commissione prevede la possibilità che il
tempo e le discipline supplementari vengano forniti a
pagamento, magari da strutture esterne. Insomma,
nell’istruzione obbligatoria e gratuita garantita dalla
costituzione si ritaglia un segmento educativo che non sarà
obbligatorio né gratuito. Le due novità, rinuncia al tempo
pieno e straordinari a pagamento, costituiscono di fatto un
arretramento dell’offerta pubblica destinato a favorire la
scuola privata.
Questo
degli orari scolastici è senz’altro uno dei punti più
controversi del documento Bertagna. Nelle superiori le ore
obbligatorie vengono addirittura diminuite di un terzo,
mentre anche il numero di anni viene ridotto da cinque a
quattro (misura destinata a portare il ciclo complessivo ai
dodici anni del percorso europeo, obiettivo che la riforma
Berlinguer - De Mauro raggiungeva con la scuola di base di
sette anni). Gli orari ridotti fanno molto discutere. Visto
che ci si propone di migliorare la qualità
dell’istruzione, obiettivo reso impellente dalle recenti
statistiche comparate sul livello di preparazione culturale,
che mostrano i nostri ragazzi ben lontani da una condizione
accettabile, come è possibile conseguire questo obiettivo
insegnando di meno? Rispondono i promotori dell’ipotesi di
riforma che gli alunni saranno liberi di impiegare le ore
non più obbligatorie scegliendo insegnamenti facoltativi:
ebbene, ve li immaginate i nostri ragazzi in coda alle
segreterie per prenotare o documentare le ore supplementari?
Per esempio quelle destinate alla musica, alla storia
dell’arte e allo sport, inspiegabilmente declassati a
materie extracurricolari a pagamento?
Diminuisce
dunque il numero degli insegnamenti in programma: e la
scelta ripropone l’interrogativo di poco fa. Insegnare
meno, insegnare meglio? Ci sono fra l’altro alcuni
dettagli che francamente lasciano perplessi. Per esempio si
vuole togliere la geografia, addirittura la matematica, dal
liceo classico, il latino dallo scientifico. Ai dice che al
posto del latino i ragazzi potrebbero dedicarsi
all’informatica (a pagamento): ma se per informatica
s’intende l’alfabetizzazione al computer, sulla cui
necessità non si discute, si tratta di materia per le
elementari, non per il liceo. Se invece si tratta di
addentrarsi nella programmazione, allora è materia per la
formazione professionale. Per quanto riguarda il rapporto
pubblico-privato, è stato insediato un gruppo di lavoro ad
hoc. L’orientamento governativo favorisce il sistema del
“buono scuola”, già applicato da alcune regioni, che
aggira l’esclusione costituzionale di oneri diretti a
carico dello stato per finanziare l’istruzione privata.
Elemento
caratteristico di questa riforma è la triplice possibilità
cui si trova davanti il ragazzo uscito a 14 anni dalla
scuola media. Potrà optare per i nuovi licei quadriennali,
oppure per una formazione triennale a tempo pieno, o infine
per una formazione quadriennale da studente-lavoratore. Si
intende così elevare il livello della scelta professionale,
garantendo fra l’altro a chi cambi idea la possibilità di
passare dall’istruzione alla formazione o viceversa. Ma al
“viceversa” non è facile dare credito: molti
commentatori pensano che gli eventuali ripensamenti
avrebbero la possibilità di realizzarsi soltanto in una
direzione, cioè dal liceo all’istituto di formazione
professionale. Dunque la rigida separazione fra i due
indirizzi fa parlare di scuola classista, che divide la
società fra una élite e una massa subalterna.
Un
altro tema su cui imperversa la polemica è data dai tempi
di realizzazione. Il ministero dice che la riforma potrebbe
partire già nel settembre 2002, ma è lecito nutrire forti
dubbi, considerati i contrasti e l’asprezza dello scontro
che si annuncia. Secondo Berlinguer si potrebbe arrivare
fino al 2004. E allora tanto vale, sostiene l’ex
ministro, applicare la legge attualmente congelata
sulla riforma dei cicli e se proprio la si vuole modificare
servirsi dei meccanismi che la legge stessa prevede. In
definitiva: poiché si tratta di una proposta è bene
discuterne senza preconcetti. Ma sembra chiaro che alcuni
punti sono assolutamente da riconsiderare: a cominciare da
quelli che si riferiscono ai tempi e alle discipline. Perché
la scommessa di migliorare la scuola riducendo l’offerta
formativa appare senz’altro perduta in partenza.
a.v.
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