FOGLIO LAPIS - APRILE- 2022

 

Superando ogni frontiera internet ha trasformato in relazioni sociali quelle che un tempo erano interazioni territoriali. Si tratta di un fenomeno virtuale, generatore di ansie e fobie. Addirittura c'è chi parla di “demenza digitale”

 

Il sociologo e psicoanalista tedesco Erich Fromm, in Anatomia della distruttività umana del 1973, affermava che “l'uomo ha bisogno di trovare nuovi legami con i suoi simili; ne dipende la sua stessa salute mentale. Senza forti legami affettivi col mondo, soffrirebbe di un profondo isolamento e smarrimento. Ma per creare rapporti con gli altri, ha vari modi accertabili”. Non immaginava ancora che l’avvento, di lì a poco, di internet avrebbe trasformato le interazioni territoriali in relazioni sociali, accentuando il divario fra luogo e socialità. L’appartenenza al territorio in cui si vive avrebbe lasciato il posto alla comunità virtuale, ad un insieme di individui accomunati dalla condivisione di valori ed interessi e capace di trascendere i confini fisici ed il contesto all’interno del quale avviene l’interazione.

Anche se il concetto di “rete sociale” nasce a fine ‘800, è con l’avvento del digitale che ha assunto le forme e le dimensioni che tutti conosciamo, soprattutto tramite la diffusione dei social network. La loro nascita, o meglio le prime orme, sono da ricercare nel lavoro dello statunitense Andrew Weinreich che nel 1997 lancia il sito SixDegrees.com con l’obiettivo di creare relazioni fra persone, ed in particolare facilitare incontri amorosi senza correre il rischio di imbattersi in false identità o in malintenzionati. Diversa la missione di Ryze, fondato da Adrian Scott nel 2001, che si proponeva di mettere in contatto fra di loro i professionisti aziendali, soprattutto i nuovi imprenditori. Ed è del 2003 Friendster di Jonathan Abrams il primo social capace di mostrare le foto degli utenti ed il loro vero nome facilitando, in questo modo, la ricerca delle persone e la possibilità di accedere al relativo profilo prima di collegarsi alla loro rete. Da questi, negli immediati anni successivi, i social che tutti conosciamo quali Twitter, Facebook, Youtube, etc. solo per citarne alcuni.

Se vogliamo, e soltanto a livello didattico-esplicativo, possiamo individuare tre momenti di sviluppo: origini (creazione ed esplorazione di reti sociali chiuse accessibili solo su invito), maturazione (le reti sociali da chiuse diventano aperte con iscrizione libera ed accessibile a tutti), espressiva (sono le reti odierne che permettono di gestire i diversi aspetti dell’esperienza personale sia a livello relazionale che di manifestazione della propria persona).

Naturalmente il dibattito è ancora aperto fra quanti ritengono che l’uso di internet favorisca la creazione di una realtà virtuale con relativo isolamento dal mondo tangibile e quanti vedono nel digitale un prolungamento della vita concreta capace di costruire interazioni simili per modi e caratteristiche a quelle reali.

Così come è un dato di fatto che la proliferazione e la diffusione dei social media sono state capaci di rendere le persone sempre connesse fra di loro. Se ciò da un verso ha degli indubbi lati positivi, dall’altro è la causa dell’insorgenza di nuove forme di fobie caratterizzate da stati di ansia che generano paura immotivata ed irrazionale. Una di queste è stata studiata, nel 2013, da Andrew Przybylski, ricercatore della Oxford University, e prende il nome di Fear of missing out (FOMO). Essa è caratterizzata dall’ansia di essere assenti a presunte esperienze piacevoli che altri stanno vivendo in un dato momento e dal persistente desiderio di essere sempre connessi con l’esterno tramite l’ausilio dei social network. Allo stato attuale non è una malattia riconosciuta, ma si tratta di una vera e propria forma di ansia sociale che implica il continuo confronto con gli altri.

I soggetti affetti da FoMo vivono in una sorta di circolo vizioso: la solitudine è riempita dall’apparente compagnia dei social che li induce a vivere in uno stato di solitudine ancora maggiore che cercano di colmare sempre tramite l’ausilio dei social. Secondo lo psicologo John Grohol per gli affetti da FoMo comunicare è più importante della vita stessa, ed ancora, la comunicazione potenziale diventa più importante della comunicazione in corso. Interessante è riflettere sul fatto che in Sud Corea, il paese più cablato al mondo, l’internet addiction è considerata un’emergenza per la salute pubblica tanto da aver preso in seria considerazione il fenomeno della “demenza digitale”.

C’è da chiedersi, a questo punto, se non sia il caso di imboccare la strada indicata da Eckart von Hirschhausen denominata JOMO (Joy of missing out), ossia la gioia di perdersi qualcosa. Idea che potrebbe essere declinata con la necessità di prendersi del tempo per sé per migliorare la qualità della vita, perché prima di comunicare con gli altri è assolutamente necessario prendersi cura dei propri pensieri. Tenendo presente quanto afferma Nicholas Epley, secondo il quale, quando ci si relaziona, si mettono in circolo emozioni, si genera benessere.

 

                                                                      Clemente Porreca           

 

 


                                           

Clicca qui per iscriverti alla nostra newsletter!

 

Torna al Foglio Lapis

 

Mandaci un' E-mail!