FOGLIO LAPIS - APRILE- 2022

 

Un secolo e mezzo dopo la morte uno degli artefici dell'unità d'Italia sembra avvolto nell'oblio. Un episodio significativo: i docenti di una scuola lombarda respingono la richiesta degli studenti di un ciclo di conferenze su Mazzini. ”Non è attuale“, questa la motivazione

 

Lo scorso 10 marzo ricorrevano centocinquanta anni dalla morte di Giuseppe Mazzini ma la circostanza non ha avuto, sia nell'ambito istituzionale sia nella copertura mediatica, l'attenzione che ci si poteva aspettare. In fondo si tratta di uno dei padri della patria celebrati nel capitolo risorgimentale dei testi scolastici, ma chi legge più quei testi, in un sistema didattico che mortifica l'insegnamento della storia? Mazzini fu un filosofo e un pensatore politico, oltre che un rivoluzionario organizzatore di attentati e spedizioni cruente. Il suo “Dei doveri dell'uomo” è uno dei capisaldi della cultura morale che ispirò l'Ottocento europeo. Se non altro per questo la scuola, in particolare la scuola italiana, non dovrebbe ignorarlo.

Certo, all'atto pratico ebbe minor fortuna degli altri padri della patria, di Vittorio Emanuele II che aborriva in quanto sovrano ma soprattutto di Garibaldi e di Cavour, che al servizio dell'obiettivo unitario avevano posto rispettivamente lo slancio impetuoso dei volontari e una consumata abilità politica e diplomatica. Come ha notato Corrado Augias, il fondatore della Giovine Italia è sempre rimasto ai margini della memoria risorgimentale, la sua figura è tristemente solitaria, esattamente come lo fu la sua morte un secolo e mezzo fa. La morte di un sovversivo repubblicano, clandestino e latitante sotto falso nome, a suo tempo condannato a morte, nell'Italia monarchica che pure al di là delle intenzioni aveva contribuito a fondare. Eppure Garibaldi, l'ex discepolo che si era distaccato dal maestro facendo il grande salto verso le ragioni della Realpolitik, che necessariamente vincolavano l'unità al contributo del Regno piemontese, ebbe parole di commossa partecipazione: “sulla tomba del grande italiano sventoli la bandiera dei Mille!”

C'è un episodio che illustra perfettamente l'atteggiamento della scuola italiana verso questo personaggio. Alcuni allievi di un istituto secondario di secondo grado, l'Iss “Europa unita” di Lissone (provincia di Monza-Brianza) invitano Francesco Borgonovo, un giornalista interessato ai temi storici e autore di un recente saggio sul patriottismo (“Conservare l'anima”, ediz. Lindau), a tenere a titolo gratuito per gli alunni di quarta e quinta un ciclo di tre conferenze sulla figura di Mazzini. Qualche giorno più tardi, mentre Borgonovo sta preparando il materiale, i promotori dell'iniziativa gli fanno sapere che non se ne fa nulla. Il consiglio d'istituto ha respinto la richiesta dei ragazzi.

Comprensibilmente incuriosito, il mancato conferenziere entra in qualche modo in possesso del verbale della seduta che il consiglio d'istituto ha dedicato al progetto. E così finalmente conosce le ragioni del diniego. Prima di tutto la sua presenza non era gradita in quanto non si trattava di uno storico ma di un giornalista. Obiezione opinabile ma in qualche misura comprensibile: si pensa dunque di appoggiare la richiesta degli alunni invitando uno storico di professione? Niente affatto: a parte questo dettaglio, sono le motivazioni relative alla figura di Mazzini a lasciare francamente sconcertati. Secondo il dirigente dell'istituto non c'è alcuna necessità di approfondire la conoscenza del personaggio, né di portare gli studenti a una riflessione sul patriottismo. La condanna è netta, senza appello: Mazzini “non è attuale né centrale”. E quanto al patriottismo, perché risvegliarlo ricorrendo a quella figura obsoleta quando si ha a disposizione, per esempio, la Resistenza?

Evidentemente il consiglio d'istituto di Lissone non sa rendersi conto dei profondi legami che intercorrono fra le idee formulate da Mazzini in pieno Ottocento e quelle che nei primi anni Quaranta del secolo successivo hanno animato la Resistenza. Né sa prendere atto della circostanza che l'anniversario di marzo chiama in causa Mazzini e le sue opere e non le gesta dei partigiani della libertà. E così una irragionevole chiusura ha privato i ragazzi di Lissone di un approfondimento che certamente non sarebbe stato inutile. Eppure l'iniziativa di quei giovani, che in fondo desideravano saperne di più sullo scomodo personaggio storico, riscatta il discutibile atteggiamento delle autorità scolastiche. Ci auguriamo che non sia andata sempre così, forse in altre scuole si è rimossa un po' della polvere che si è accumulata sul più controverso fra i padri della patria. Ma non c'è da farsi troppe illusioni, la nuvola dell'oblio sembra ormai avvolgere l'austera figura di Mazzini, che dai monumenti sparsi nelle piazze d'Italia guarda perplesso il suo Paese ingrato.

 

                                                                      Alfredo Venturi           

 

 


                                           

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