FOGLIO LAPIS - APRILE - 2007

 
 

Chi le farfalle cerca sotto l’arco di Tito? Se lo domandava Giosue Carducci (Odi barbare) e più di un secolo dopo non ha ancora ricevuto risposta – Quel che è certo è che il tempo ammazza chi cerca di ammazzarlo, e che sognare farfalle può determinare imbarazzanti problemi di statica – E se il tempo andasse a ritroso e dunque la vita procedesse all’incontrario, dalla morte alla nascita?

 

Riflettevo con ragazze e ragazzi: «Non facciamo che escogitare modi per ammazzare il tempo e intanto il tempo ammazza noi»…

Per dar loro il modo di fare l'esperienza "tattile" della frase che avevo appena detto, lessi dal Dizionario Garzanti della lingua italiana alla voce farfalla: "insetto con quattro ali membranose variamente colorate, apparato boccale, succhiatore a proboscide, corpo distinto in capo, torace e addome: andare a caccia di farfalle, correr dietro alle farfalle, (fig.) perder tempo in cose futili"… «Ecco!» ripetevo loro: «Non facciamo che escogitare modi per ammazzare il tempo e intanto il tempo ammazza noi»…

Dovremmo decrescere anziché crescere? – domandò una ragazza. E iniziai una novella per lei, che diceva come un indovinello: «Era un organismo contrario: invece di crescere, decresceva, si involgeva, regrediva. Se continuava così, presto, invece di morire, sarebbe di nuovo nato»…

Cos'era? – chiesi.

Un uomo in gambero. Veramente in gambero! – disse la ragazza. E iniziai a conferire le previsioni della bisnonna sulla farfalla:

Quattro farfalle prendono il tè in giardino
Siedono volando senza toccare le sedie col cuscino
Il loro chiacchierare è un muovere di ali
Si avvita nell'aria in leggerissime spirali
Il silenzio le ascolta incantato disteso sul prato
Rosa e celeste è la mattina
La vita ha la trasparenza dell'acqua sorgentina
Tutto tace e sussurra in un morbido soffio
Non si vedono gli urli, l'orrore
Il cristallo che taglia le ali, al suo scoppio.

Feci osservare a ragazze e ragazzi l'orrore di una farfalla conservata sotto il cristallo nel laboratorio di Scienze dove eravamo. Era sotto gli occhi di tutti, evidentissimo, lo spillo infilzato nella testa con cui qualche squilibrato aveva "tagliato le ali" alla farfalla.

Come potete osservare – dissi – le previsioni della bisnonna sulla farfalla erano esatte.

Poi ci fu un sogno:

«Questa notte in un sogno, di per sé già molto leggero, ho sognato farfalle. Tale doppio lievissimo evento ha provocato forti correnti ascensionali: per non levitare ho dovuto aggrapparmi al cuscino. Non bastando, per contrappeso, è stato necessario inserire nel sogno cemento, bisonti, balene e maiali. Ridiscesa sul letto ho ripreso a sognare di ali. Dondolavano le mie farfalle, al vento come ragnatele, parlavano fra loro di leggerissime questioni: dell'odore del miele, del sapore della luce delle stelle, di una nuova acconciatura per le antenne, usando parole di miele e non di suoni, sospese in quel mondo di velo che è sospeso fra la terra e il cielo, bevevano il tè in tazzine fatte di foglioline. Aleggiava una quiete perfetta appena increspata dal ritmato ruotare dell'ala che tiene sospesa, dal leggero crepitìo della mattina ormai accesa. È il vento il parlare delle farfalle, un alfabeto che si dice con le ali, declinato sull'azzurro degli opali. Una lingua iridescente nata per parlare dell'alto, del vuoto, del niente. Una lingua senza gravità. Una lingua graziosa, con molti fonemi in comune con la lingua della rosa, una lingua di sfumature, senza accenti, ricca di bianchi, di luci, di argenti. Una lingua che a seconda delle stagioni si può diversamente colorare, parlata solo da popoli in grado di volare».

«Falla… farfalla questa esperienza, su!» suggerisce la bisnonna, esponente di una scuola dove si può – anzi, si deve – suggerire per farsi capire: «Vi sono, nella vita di ognuno, esperienze che al momento in cui si compiono sembrano del tutto occasionali e contingenti. Ma, quando a distanza di molto tempo ci voltiamo a considerare il cammino percorso, esse assumono impreveduta rilevanza: tessere di un mosaico che è andato componendosi a poco a poco, primi tratti di un disegno che non ci sarà dato vedere nella sua compiutezza, perché il tratto definitivo coinciderà col termine della vita. Tuttavia, avvicinandosi l'età a questo traguardo, sempre più spesso ci troviamo a constatare la loro pertinenza e necessità: baluginanti stelline che, in un cielo di passato dove ogni distanza è abolita, una dopo l'altra ci sorprendono quasi a dirci, luminose epifanie, di non essere state invano, a tutte dando ora un senso il nostro presente, futuro di quel passato».

Diventai rosso come un gambero. Camminavo all'indietro. Ma a scuola mi chiamano Farfalla.

                                Filippo Nibbi, Giovanna De Carli 

 

   


                                                  

 
 

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