FOGLIO LAPIS - APRILE - 2005

 
 

Come si contrae un contratto – Mille dollari al mese per sette giorni lavorativi la settimana: più meno come ai tempi di Giulio II, papa guerriero – Una citazione di Gianni Rodari offre una possibilità consolatoria attraverso una storia di santi e di diavoli: perché non provare riprendendosi piena libertà di parola? – Un orologio che segna sempre le 10,25

    

 

CO.CO.CO? CO.CO.CO?

CO.PRO? CO.PRO?

Si parlava di Collaborazione Coordinata Continuativa, che è un tipo di contratto contratto in tempo determinato, e di Collaborazione su Progetto, nuovo tipo di contratto ancora più contratto, veramente striminzito.

Poveri, precari, senza certezza riguardo al futuro. Tra vent’anni, quelli che ora ne hanno quaranta, andranno in pensione CO.CO.CO. la metà della pensione minima garantita oggi, – diceva la Giovanna.

La Giovanna viene fuori dalla scuola media-elementare “Margaritone” di Arezzo il cui edificio è ridotto a una voragine come ci fosse caduta una bomba sganciata qui da Bagdad, durante le Mille e una notte. Ecco! Vedete?

Ha poi frequentato l’Istituto Statale d’Arte ad Arezzo, poi il DAMS a Bologna.

Il 23 febbraio 2005, quest’anno, si è recata a Roma, alla “TECHNICOLOR”, fuori Porta Tiburtina, passato il Grande Raccordo Anulare, per un colloquio d’assunzione. Le hanno subito chiesto se era disposta a lavorare anche il sabato e la domenica, per mille dollari al mese, che è la paga minima garantita a un soldato americano in Iraq.

Siamo entrati in guerra?… Ma siamo matti!?… Siamo andati fuori di testa?… E io dovrei lavorare, per mille dollari, anche la domenica?… Non c’è più religione! – dice la Giovanna. E aggiunge: – Socci-mel-bèn! Come fa una città grassa come Ferrara a essere diventata così guerrafondista? guerrafondente come la cioccolata?

– … Forse volevi dire: grassa come Bologna, che fu nutrita a paté di fegato da Guazza l’Oca, nell’ignorantità! – le dico io.

  Insisto, Ferrara! – dice lei.

Bologna! – insisto io. E mi rifaccio a Erasmo da Rotterdam, dottore in teologia a Torino, spettatore magno cum gemitu delle imprese guerresche di Giulio II a Bologna, che scrive: “Viaggiando per la campagna vidi la povertà dei contadini, la cui intera fortuna consisteva in due mucche, che avevano difficoltà a mantenere la famiglia, e che gli esattori del papa mungevano di un ducato a testa: Julius pontifex, terrenus Juppiter, tonabat et fulminabat”. Erasmo era venuto in Italia nel 1506 portato dal desiderio di vedere finalmente la terra madre della nuova cultura.

La Giovanna è la nostra eroina, stupefacente, perché possiamo farne uso senza fare i nostri Proci comodi come stavano in casa d’Ulisse, e ora a Roma! Lei sostiene che se i Proci continuano a fare i propri Proci comodi come stavano in casa d’Ulisse e ora a Roma, va a finire che ogni bidello scolastico diventa un “bidè piccolo piccolo”…

Ti sei fatta il bidello? – le domando.

No… È troppo piccolo! – risponde lei.

Al DAMS ha discusso una tesi sulle coreografie di “Pierino e il Lupo” di Prokofiev. E qui viene il bello! Spunta fuori la Grammatica della fantasia. Gianni Rodari.

<<Una volta Pierino giocava con il pongo. Passa un prete come Budget Bozzo, satanista, che accusa il Papa di essere legato all’Islam che vuole scalare le mura di Ferrara, e gli domanda: – Cosa fai? – Faccio un prete come te.

Passa un cow-boy travestito da cespuglio come Bush, e gli domanda: – Cosa fai? – Faccio un cow-boy come te.

Passa un indiano e gli domanda: – Cosa fai? – Faccio un indiano come te.

Poi passa un diavolo che era buono, ma poi diventa cattivo perché Pierino gli tira addosso la cacca, il diavolo piangeva perché era tutto sporco di merda, poi diventa ancora buono>>.

Salta agli occhi, in questa bellissima storia, l’uso del linguaggio escrementizio in funzione liberatoria. Il bambino, che l’ambiente (ma quale ambiente?… Ci sarà una strada, una casa, una scuola che funziona così?) ha messo in condizione di esprimersi senza censure (liberamente, poveramente), si è affrettato a usare di questa libertà per i suoi fini, cioè per esorcizzare qualche senso di colpa connesso con l’apprendimento delle funzioni corporali a infinite dimensioni, perché armoniche. Si tratta di “parole proibite”, che “non stanno bene”, che “non bisogna dire”, secondo il modello culturale familiare: Pronunciarle significa dunque rifiutare di subire quel modello repressivo, rovesciare nel riso il senso di colpa.

Passa attraverso questo scatto una più ampia operazione di autoliberazione dalla paura, da tutte le paure. Il bambino personifica i suoi nemici, tutto ciò che sa di colpa e di minaccia, e li scaglia l’uno contro l’altro come le scaglie d’un pesce d’aprile (chi ci riesce?), divertendosi a umiliarli.

Va notato che l’operazione non è poi tanto lineare. Il diavolo, all’inizio, è affrontato con una certa prudenza. È “un diavolo buono”. Non si sa mai. L’esorcismo implicito nell’aggettivo adulatorio viene enormemente rafforzato dal gesto: per domare il diavolo gli si butta addosso della “cacca”, cioè, in qualche modo, il contrario dell’acqua benedetta. Ma succede anche nei sogni che un oggetto rappresenti il suo contrario, no?…

CO.CO.CO? CO.CO? CO.CO

CO.PRO? CO.PRO?

È l’orologio a CO.CO?

Ora il diavolo ha perduto la maschera rassicurante della bontà. È quello che è “cattivo”. Ma il riconoscimento avviene quando si può sfidare la sua cattiveria e ridere di lui, perché è tutto insudiciato: “sporco di merda”.

Il “riso di superiorità” che permette al bambino di trionfare sul diavolo gli consente anche il suo recupero: dal momento che non fa più paura, il diavolo può ridiventare “buono”, ma a livello di marionetta. Era un diavolo vero che è stato bombardato di escrementi: ora esso è ridimensionato, ridotto a giocattolo. Gli si può perdonare… forse anche per essere perdonati di aver usato le “brutte parole”? Un resto di inquietudine, o una rivalsa della censura interna, che la storia non è bastata a travolgere del tutto...

Che strage! Sono in uno Stato!… Ho i capelli che mi si rifiutano.

Perché? Hanno il naso?

– … Al mio orologio, che non è assolutamente attendibile, sono sempre le 10 e 25.

Perché vuoi attendere un orologio?

Il paradosso è che senza orologio, senza “parà d’osso”, non c’è ironia, comicità, comicittà più al mondo che tenga! Di questa generale fortuna coniugata con le stragi, sono stato io il primo a meravigliarmi (demirabat ipse quid ibi cuiquam placeret), – il diavolo dice.

Salito, saluto la Giovanna alla stazione di Bologna, mentre il Ritardo arriva in treno.

                                     (2 Agosto 1980 – 1° Aprile 2005)

                                                                                                                                                               Filippo Nibbi

 
 

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