Torna a Foglio Lapis - aprile 2001
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Una delle storiche manchevolezze della scuola italiana è l’abisso che la separa dal mondo produttivo – Vogliamo provare a gettare un ponte? – Ecco un progetto articolato in due fasi – Prima fase: rilanciare le attività di laboratorio – Seconda fase, per le classi terminali dell’obbligo: organizzare stages in botteghe artigiane o piccole imprese – La necessità di adeguare il quadro normativo
 

La scuola alla scoperta del lavoro. E’ la formula che riassume il senso di un progetto che la Lapis sta cercando di promuovere agendo da un lato nei confronti della scuola, dall’altro dei rappresentanti delle categorie artigiane e della piccola impresa. L’obiettivo è piuttosto ambizioso: si tratta di contribuire a colmare il baratro che separa tradizionalmente la scuola italiana dal mondo produttivo. Per farlo occorrono due cose: da una parte promuovere il valore della manualità, storicamente sacrificato dall’impostazione umanistica della vecchia scuola di élite (del resto a torto, considerato il ruolo che nella rivoluzione culturale dell’umanesimo ebbero le botteghe delle arti, dove l’abilità manuale era l’indispensabile mezzo di espressione delle elaborazioni concettuali), abituare a “fare” oltre che a studiare, trasmettere il piacere del risultato concreto, del lavoro ben fatto. Dall’altra parte bisogna sollecitare l’incontro diretto fra la scuola e quella parte della società civile che progetta, lavora e produce.

Da queste riflessioni nasce il nostro progetto, la “scoperta del lavoro” che proponiamo alla scuola. Il piano si articola in due fasi nettamente distinte. La fase numero uno ha un carattere preliminare e si riferisce ai primi sette anni di scuola e consiste in pratica nel potenziamento delle attività di laboratorio. Ogni istituto potrà elaborare, nell’ambito della propria autonomia, programmi che possono anche avvalersi di contributi esterni, per esempio visite di esperti di vari settori produttivi che si affiancano agli insegnanti di educazione tecnica per trasmettere procedure particolari e “segreti del mestiere”, o anche solo per illustrare il proprio lavoro ed eventualmente per contribuire alla valutazione di quello degli alunni. Ovviamente indispensabile, in questo quadro, l’acquisizione e il perfezionamento delle tecniche informatiche. I singoli istituti potranno anche organizzare la formulazione dei loro progetti in modo da rendere possibili finanziamenti pubblici, nazionali o europei, per la copertura degli eventuali costi.

  La seconda fase ha invece carattere specifico e riguarda gli ultimi due anni di istruzione obbligatoria. Ci si propone in pratica di effettuare la saldatura fra scuola e mondo produttivo, con l’attenzione concentrata su quei ragazzi che non intendono proseguire gli studi e che si troveranno presto sul mercato del lavoro, ma con la consapevolezza che questo genere di esperienza sul campo può essere utile anche agli altri, qualunque sia la loro attività futura. L’iniziativa si fonda sul dedicare parte dell’orario scolastico, nella misura che i singoli istituti riterranno più opportuna, a stages presso botteghe artigiane, piccole imprese, uffici. I ragazzi, insomma, al fianco degli esperti impareranno un mestiere, maturando titolo ed esperienza per potere eventualmente entrare da lavoratori a tempo pieno o parziale nella struttura che avranno conosciuto da studenti o in altra dello stesso tipo.

Naturalmente non è così semplice: le rigide norme che regolano l’apprendistato sembrano fatte apposta per scoraggiare un simile disegno. Per questo proponiamo un intervento normativo, che alleggerisca artigianato e piccola impresa dei tanti oneri diretti e indiretti che ostacolano di fatto la trasmissione diretta del sapere tecnico. Al tempo stesso bisognerà garantire ai ragazzi un’adeguata copertura assicurativa, e un regime di contributi figurativi. Per questo servirebbe l’iniziativa congiunta, sentite le parti sociali interessate, dei due ministeri competenti, Pubblica Istruzione, Lavoro e previdenza sociale. L’intervento governativo sarebbe giustificato non soltanto dall’evidente portata sociale dell’iniziativa, ma anche dal suo contenuto economico. Contribuendo a facilitare il reperimento di personale sul mercato del lavoro, il progetto avrebbe infatti funzione di stimolo sul sistema produttivo (che oggi arranca, in molte parti del paese, proprio per la difficoltà di colmare gli organici), con benefici per l’occupazione giovanile e ritorni di carattere fiscale.

Secondo l’approccio caratteristico della Lapis, abbiamo cercato di verificare la proponibilità dell’iniziativa attraverso il contatto diretto con gli interessati. Dopo avere visitato i rappresentanti dell’artigianato e della piccola impresa in alcune decine di città che coprono praticamente tutte le regioni d’Italia, possiamo affermare con piena soddisfazione che il progetto incontra il favore, a volte persino entusiastico, degli addetti ai lavori. Era ora che qualcuno immaginasse qualcosa del genere, ci siamo sentiti dire in numerose occasioni. Un risultato incoraggiante, che ci induce a proseguire nel nostro sforzo di mobilitazione attorno a un obiettivo che possiamo considerare largamente condiviso. Siamo certi che la scuola, dopo gli esponenti del mondo produttivo, saprà cogliere il concreto spessore dell’iniziativa, muovendo così “alla scoperta del lavoro”.

r.f.l.

FOGLIO LAPIS - APRILE 2001