Ricordate l’abbecedario di Pinocchio? Lo aveva ricevuto dal padre, che per acquistarlo aveva dovuto privarsi della giacca, ma in quello che doveva essere il suo primo giorno di scuola lo mise in vendita: aveva bisogno di quattro soldi per offrirsi uno spettacolo di burattini. Impiegò dunque lo strumento del sapere per uno scopo del tutto diverso da quello consueto. Forse quel dirottamento è soltanto apparente, si potrebbe infatti interpretare come una forma alternativa di istruzione, la libera scuola della vita preferita alla tradizionale istituzione educativa. Ma per quanto prodiga di insegnamenti la vita non può sostituirsi alla trasmissione sistematica delle conoscenze, dunque l’incontro di Pinocchio con la scuola è soltanto rinviato: presto anche lui piegherà la sua esuberanza ai vincoli dell’aula, del banco, dell’orario e delle lezioni. E apprenderà sul libro la magia della parola.

 

Questa mostra, che la Lapis ha voluto proporre all’attenzione del pubblico, raccoglie decine di abbecedari provenienti da altrettanti paesi. Sono libri scritti nei più svariati caratteri, nel caleidoscopio babelico delle lingue, sui quali bambini di mezzo mondo imparano la lettura e la scrittura, quelle capacità che contribuiscono a distinguerci da ogni altro essere vivente e che costituiscono la prima indispensabile iniziazione alla vita. Il confronto dei toni, degli approcci e degli stili può offrire agli specialisti utili spunti di riflessione: il libro di testo come specchio di ogni cultura, come modo di porsi di fronte alla sfida educativa, come risultato del rapporto fra la visione del mondo propria di ogni realtà nazionale o sociale e gli obiettivi e i modi dell’istruzione.

 

Il profano, chiunque sia animato da semplice curiosità, di fronte a veicoli della conoscenza elementare elaborati in luoghi geografici e culturali così disparati potrà abbandonarsi a considerazioni di ordine più generale. Probabilmente sarà portato a soffermarsi, diversamente dagli addetti ai lavori, su ciò che questi libri hanno in comune piuttosto che sulle differenze. Per esempio sullo sforzo, evidente persino nei testi più oscuri per lingua e alfabeto, di adeguare la finalità didascalica ai limiti personali che condizionano i piccoli alunni, impegnati nelle prime acquisizioni del sapere. O ancora sulla presenza implicita e muta, che traspare da queste testimonianze di attività educative in atto, di tutti quei bambini che non hanno abbecedari da leggere. Né possono scegliere, come Pinocchio, di farne un uso personalizzato. Sono i reietti dell’istruzione: una realtà intollerabile, la prima fra le troppe ingiustizie del mondo.

                                                                                                        Alfredo Venturi